Nell’articolo “La musica degli dei”, pubblicato in questo sito qualche giorno fa, abbiamo richiamato l’attenzione dei lettori sulla rinominazione della città di Etna in Adrano, frutto di un compromesso intercorso tra il tiranno Dionigi e le istituzioni etnee. Riteniamo sia necessario approfondire, attraverso una verosimile ricostruzione storica da noi tentata, i motivi che indussero l’uno e gli altri a raggiungere, tra il 403 e il 400 a. C., il suddetto compromesso.
Se volessimo definire il ruolo della città di Adrano in seno alla civiltà sicana della Sicilia, non potremmo non paragonarla, per il suo ruolo di capitale sacra, all’odierno stato del Vaticano, portatrice però di un valore aggiunto, visto che essa è annoverabile fra le città della Sicilia, militarmente più temibili. Poiché la storia, scritta unilateralmente dai Greci, non rende giustizia al ruolo svolto, nella politica isolana, dai Siculi Adraniti, spetta a noi eredi riscattare i nostri valorosi padri, risvegliandoli dall’oblio a cui i Greci li condannarono.
Chi ci ha seguito nei precedenti articoli, converrà che la casta sacerdotale degli Adraniti, il cui nome si legge da destra verso sinistra in monete chiaramente pre elleniche, rappresentò il cuore pulsante della religiosità isolana nel periodo pre greco. Gli Adraniti erano i sacerdoti del dio, ma sarebbe più esatto utilizzare il sostantivo Avo (ano), Adrano, il cui santuario sorgeva nella città denominata Innessa, sotto il principato di Teuto, e successivamente Etna, secondo la nostra ricostruzione, in onore della figlia di Teuto. Ben presto la città avrebbe cambiato ulteriormente nome, assumendo quello odierno di Adrano, in seguito ad una complessa operazione politico-militare compiuta dal tiranno siracusano Dionigi il vecchio.
Per comprendere l’attività suddetta, risulta necessario passare a setaccio le gesta che portarono il tiranno al comando della polis più potente dell’isola. Nel 405 a. C., appena proclamatosi tiranno di Siracusa, Dionigi subisce le ostilità degli aristocratici democratici siracusani i quali, dopo avergli sterminata la famiglia, per poco non riescono ad eliminare lo stesso tiranno. Riavutosi, attraverso inganni e tradimenti e sopratutto grazie all’utilizzo di mercenari campani, consolida la propria tirannia nella città; nel 403 a. C. inizia una operazione di assimilazione dei territori Siculi dell’entroterra. La prima città che il tiranno assedia , in atto di rappresaglia è Etna, poiché questa potente città Siculo/Sicana – retta democraticamente attraverso l’istituto delle assemblee, presiedute da un primus interpares, che deliberavano su problemi di importanza capitale per la città – aveva inviato duemila cavalieri affinché dessero man forte agli aristocratici siracusani, che assediavano Dionigi nella sua reggia. Il tiranno si reca presso Etna, ma constatandone l’inespugnabilità, si limita a fare promesse ai rifugiati siracusani, che avevano trovato ospitalità nella città anti-tirannica, per convincerli a tornare in patria. Alcuni si lasciano convincere, ma i più, non fidandosi del tiranno, preferiscono rimanere in Etna, nella quale sentono meglio garantita la propria libertà; altri infine, guidati da un cavaliere di nome Soside, il cui discendente si sarebbe reso protagonista, nel 213 a. C. della presa della polis da parte dei Romani, partono come mercenari in medioriente, arruolandosi nell’esercito che Ciro sta approntando contro il fratello Artaserse, come ci tramanda Senofonte.
La scelta dei siracusani ostili a Dionigi di rifugiarsi in Etna piuttosto che in altre città più vicine, crediamo possa rintracciarsi nei passati rapporti più che amichevoli intercorsi tra le due città, Siracusa ed Etna, fin dai tempi dell’illuminato re Gelone. Questi, infatti, dopo la battaglia di Himera del 480 a. C., volle fare dono di un tempio agli eroici Etnei che, come si evince dal racconto di Diodoro, nonostante la scarsa enfasi con cui lo stesso fa cenno al ruolo degli Etnei, furono determinanti per la sconfitta dei Cartaginesi. L’edificazione di un tempio greco nella città sicula di Etna, capitale della religione degli antenati, ebbe certamente un alto valore simbolico, che si traduce come un innalzamento dello status politico/militare di Etna e sopratutto segnava un cambiamento epocale sotto il profilo religioso; infatti, per la prima volta, nella sicula Etna avveniva l’introduzione di un culto greco. Tale apertura da parte degli Etnei nei confronti dei Greci, molto probabilmente subita dai sacerdoti Adraniti, custodi delle antiche tradizioni sicane, avrebbe dato i suoi frutti politici, garantendo ai cittadini un trattamento privilegiato da parte dei tiranni.
Intanto Dionigi, non rinunciando al suo progetto imperialistico e abbandonando per il momento l’assedio dell’inespugnabile Etna, continuava la sua battaglia per l’annessione dei territori Siculi con ogni mezzo, non mantenendo la parola data e facendosi beffa di tutte le regole etiche che avevano fatto delle gesta belliche atti eroici da epopea fin dai tempi di Omero. Pertanto, mostrando di non temere gli dei, spergiuro e mendace, conquistate col tradimento Catania, Lentini e Naxos, ne deporta gli abitanti superstiti, dopo aver passato i più a fil di spada. Il suo cruccio rimane tuttavia l’indomita e potente città di Etna, ammantata di sacro ardore con quel suo Dio primordiale che sarebbe stato temuto ancora duecento anni dopo dagli stessi Romani. Fin qui non si aggiunge nulla alla narrazione dello storico Diodoro. Da questo momento in poi proveremo a leggere tra le righe di una storia superficialmente raccontata, non esitando a ricorrere all’indagine psicologica dei personaggi che fecero la storia, avendo imparato che perfino un Annibale non poté sottrarsi ad una determinante sconfitta psicologica nel confronto con Scipione, ancor prima di subire quella militare.
Con un pizzico di fantasia, dote concessa allo storico qualora venga apertamente dichiarato al lettore tale sconfinamento, si potrebbe immaginare perfino il dialogo avvenuto durante l’ipotetico incontro tra Dionigi e il consiglio cittadino di Etna: i sacerdoti Adraniti, con le loro vesti di lino bianco, il bastone ricurvo (lituo) e forse la lira d’oro del dio, con la quale evocavano il “furore dell’Avo” Adrano, assieme ad una rappresentanza di cittadini illustri, scortati da un piccolo contingente di guerrieri armati di lancia ed elmo andavano incontro al tiranno. Questi, da parte sua, assistito dal fido amico e astuto retore Filisto, che poco prima, convincendolo a non cedere lo aveva salvato dall’assedio degli aristocratici democratici siracusani, avrà certamente sfoderato le celeberrime capacità oratorie vanto dei Greci, che gli avrebbero consentito di tener testa, negli anni successivi, alla stessa filosofia di un improvvido Platone che, venuto a trovare il tiranno, sarebbe stato poi venduto da questi come schiavo.
Dionigi, nel suo progetto di trovare una soluzione onorevole per entrambe le città, dovette innanzitutto ricordare alla sacra rappresentanza etnea, l’antica amicizia contratta con Siracusa fin dai tempi del re Gelone. Il piano del tiranno consisteva nell’ottenere dagli Etnei di ospitare in città una insignificante guarnigione siracusana (o magari quei mercenari campani che vi avrebbe trovato Timoleonte cinquant’anni dopo), più politicamente simbolica che militarmente efficace, onde dare valore e visibilità politica alla propria azione militare; in seconda istanza intendeva cambiare il nome alla città, denominandola Adrano: questo mutamento di nome, da un lato, per i Greci, avrebbe avuto un valore simbolico di rifondazione, dall’altro, per i Sicani, che del resto avevano già accettato che Innessa venisse denominata Etna, avrebbe sancito un nuovo inizio, sotto l’egida diretta del loro potente dio. I sacerdoti Adraniti, consultato il dio circa la soluzione proposta dal tiranno, dovettero trarne auspici positivi, così gli Etnei, incoraggiati dal parere dei sacerdoti, decretarono di chiamarsi, da quel momento innanzi, Adraniti.
Da quel momento, come è possibile notare attraverso la lettura di Diodoro, il nome della città di Etna non sarebbe più apparso nelle cronache politico militari dell’isola, che pure l’avevano vista protagonista degli eventi precedenti, sostituito dal nome Adrano, città nata già adulta, la quale si sarebbe imposta da subito sul territorio, giungendo, nel 344 a. C. a rendersi protagonista della cacciata dei tiranni dall’isola e continuando altresì inalterate tutte le tradizioni siculo/sicane (e non greche) che i padri avevano trasmesso e perdurato nei millenni precedenti. Appena fu possibile, nel 344 a. C., gli Adraniti “restituirono il favore” al tiranno, recandosi a Siracusa, dove abbatteranno la tirannide, che era passata a Dionigi II, e istituirono un consiglio cittadino, a imitazione di quelli siculi, formato da Siracusani democratici, da cittadini adraniti, tindaridi e tauromeni, tutte città che, riunitesi in lega, avevano contribuito militarmente all’operazione anti-tirannica.
L’influenza adranita su Siracusa, a partire da questa data e fino al 213 a. C. fu maggiore di quanto appaia dalla superficiale lettura della storia, raccontata del resto da storici greci, restii ad ammettere e narrare tale influenza: Adranodoro, genero di Gerone II e pretendente alla tirannide dopo la morte del suocero, avvenuta nel 216 a. C., fu probabilmente un cittadino di provenienza adranita, appartenente ad una famiglia aristocratica trasferitasi a Siracusa con incarichi politici di rilievo, tale ipotesi appare altresì ovvia se si considera che Timoleonte, per ripopolare Siracusa, resa deserta dalle continue guerre di Dionigi, dovette richiedere uomini perfino a Corinto la quale, raccogliendo uomini attraverso un bando, riuscì ad inviarne sessantamila. Plutarco aggiunge esplicitamente che anche da tutta la Sicilia, rispondendo al suddetto bando, si erano recati uomini a Siracusa per abitarci.
Altro motivo per credere che l’influenza politica sicula su Siracusa fu sempre incisiva, sopratutto dopo i fatti del 344 a. C., è la presenza nella polis di un antichissimo tempio che Cicerone, nelle verrine, afferma essere dedicato ad un antico Dio locale che i Greci chiamavano Urio. Era dunque un dio non greco la cui statua veniva paragonata da Cicerone, semplificando, a quella del dio romano Giove, che si ergeva sul Campidoglio: allo stesso modo Diodoro (90-27 a. C.), nel lib. XXXIV, cap. 28, avrebbe chiamato “Giove etneo” il dio Adrano (o perché il suo santuario si trovava nella città di Etna-Adrano o perché questo culto era ormai ristretto al territorio etneo). Ora si dà il caso che Ur, in lingua germanica, significhi antico, primordiale. L’unica divinità sicula che corrispondeva a tale appellativo era appunto Adrano, l’Avo l’antenato. Va ricordato a tale proposito che, prima di essere conquistata dai Greci, Siracusa era una città sicula, come conferma il suo stesso nome (sicher-usa, casa sicura o la dimora certa, inespugnabile, caratteristica di Ortigia, luogo del primo insediamento umano) e che i killiroi (Cilljri in siciliano) erano in realtà i Siculi sottomessi, i quali esercitavano il culto del dio Adrano. Urio era dunque l’appellativo che i Siculi-Killiroi avevano dato al tempio pre greco del dio antico, il tempio primordiale, edificato per primo e dedicato all’Avo, all’antenato, in poche parole il tempio dove si esercitava il culto del dio Adrano. Tale culto sarebbe caduto in disuso nella Sicilia romana dopo che i Decemviri, tra il 213 e il 211 a. C., ne avevano decretato la chiusura alla pubblica devozione; sarebbe stato sconosciuto perfino al colto Cicerone, così come ai Greci, tra cui Diodoro.
Eviteremo in questa sede di fare riferimento alle argomentazioni di carattere geografico, culturale e militare, suffragate rispettivamente dai testi di Strabone, Plutarco e Cicerone, che provano l’identificazione delle città Innessa, Etna e Adrano; eviteremo altresì di dimostrare come sarebbe stato impossibile per Dionigi, impegnato, fino al 397 a. C., data in cui subisce una pesante sconfitta navale nel porto di Catania costringendolo ad una vergognosa ritirata a Siracusa, in una spossante campagna militare contro i Cartaginesi, fondare la città di Adrano, sicché si sarebbe limitato in realtà di attribuire il nuovo nome (Adrano) e a ripristinare qualche tratto delle imponenti antiche mura pre greche.
Ad majora.