“Veggonsi tuttora le macerie dei bagni termali presso l’orto denominato Capritti (…) conservarsi i cinque archi (…) il proprietario ha convertito questo luogo in una vasca d’acqua. Egli è vero sono lasciate adesso, come colonne, le basature degli archi fatte di pietra vulcanica e fasce di mattoni (…). – Salvatore Petronio Russo, Storia di Aderno’, cap. VII-“.
Per fortuna, nel secolo precedente a quello nel quale il P. Russo metteva per iscritto le sue ricerche storiche, il principe Biscari, faceva realizzare delle incisioni. Queste riproducevano, fedelmente, le terme romane nella loro grandiosità. Tuttavia dobbiamo ringraziare il nostro concittadino P. Russo, per averci fornito i dettagli utili al ritrovamento, forse, del luogo ove sorsero le terme, e dove tuttora, rimangono visibili le colonne descritte dal nostro. Infatti, il Petronio Russo, nella sua illustrazione storico archeologica, afferma che il proprietario, nel periodo in cui egli scrive, era in procinto di convertire in vasca una delle stanze di quegli antichi bagni. Seguendo le indicazioni del nostro illustre concittadino, cercammo in quella direzione. Dopo aver visionato diverse vasche, realizzate nella contrada indicata dal Russo, trovammo, finalmente, quella giusta. Infatti, all’interno di quella che doveva essere una semplice vasca di raccolta, osservammo la presenza di archi e colonne, come sopra affermato, che non solo non erano funzionali allo scopo per cui la vasca era stata costruita, ma che per il proprietario avrebbe rappresentato un inutile costo, sia economico che di energie.
Notammo ancora, una ulteriore anomalia: la vasca, in una delle quattro pareti, aveva infissa una splendida pietra, scanalata nella sua anima interna e lavorata con motivi elegantemente decorativi, da cui si gettava, per riversarsi nella vasca, l’acqua proveniente, forse, da una sorgente ormai prosciugatasi. La vasca si trova ubicata ad un centinaio di metri dall’ultima abitazione della città, a nord est di questa. L’ abitazione segna il confine tra il centro abitato e l’aperta campagna ove, il tenace colono adranita, con sodi muscoli e copioso sudore, seppe strappare, alla viva lava, le zolle che, tutt’oggi, rendono ubertosi quei fondi. Nella abitazione sopra descritta, confinante con le terme, – o nella strada adiacente ad essa -, dalle indiscrezioni da noi raccolte dall’ultra ottantenne che allora esegui i lavori per la sua edificazione, apprendemmo che si nasconde un mosaico. Per ciò che riguarda chi scrive, egli può, a sua volta, raccontare di una confidenza affidatagli da un fraterno amico, scomparso prematuramente, proprietario di un fondo adiacente alla casa di cui si è detto, fondo poi venduto dalla famiglia e su cui si è costruito un edificio per civile abitazione. L’amico confidò, allo scrivente, in camera caritatis, che, durante i lavori per la costruzione dell’edificio, effettuati molti decenni fa, egli poté osservare, nel giorno in cui lavorava il proprio podere superstite della vendita, che era venuto alla luce un doppio pavimento, fatto con mattonelle di terra cotta piuttosto grezza, che così descriveva: il pavimento sovrastante, era sorretto da pilastri di circa venti cm. funzionali a separarlo da quello sottostante. Dunque tra quello sovrastante e quello sottostante vi era una camera d’aria? Avevano forse rinvenuto il calidarium? I ritrovamenti, che a nostro avviso facevano parte della prestigiosa struttura termale, ripresa alla fine del settecento dagli acquerelli del pittore francese J. Houel, pare che arrivassero fin alle fondamenta dell’attuale liceo scientifico, distante circa duecento metri dalla nostra vasca, che per costruirlo non si lesinò cemento. Dobbiamo rilevare che, se da un lato il duro collante rese sicure le vite degli studenti che avrebbe ospitato, dall’altro seppelli parte dell’antico prestigio della vetusta, quanto sacra, città di Adrano. Siamo consapevoli che, non potendo portare prove a sostegno della veridicità delle storie raccolte, si potrebbe inficiare quanto fin qui sostenuto. Tuttavia, chi è vissuto nella nostra città, la vetusta Adrano, sede del santuario del Dio omonimo, che fu Dio a tutti i Siciliani, allora chiamati Sicani; chi è cittadino di essa, sa che Adrano fu, è, e sarà, una miniera di rinvenimenti archeologici, più o meno fortuiti, come quel rinvenimento di mille e cinquecento monete di bronzo ed argento che riempì le tasche di decine di manovali presenti quel giorno, avvenuto presso gli unici scavi rimasti visibili al visitatore, in piazza Dionigi il vecchio. Nello stesso luogo, durante la costruzione di abitazioni private, furono rinvenuti, oltre alle monete citate, mosaici di una fattura da fare invidiare quelli della villa del casale. Continuando con le indagini dirette alle terme, ci rendemmo conto che gli antichi bagni termali, dovevano estendersi su una superficie di circa un ettaro.
Dobbiamo qui confessare che, a motivo di esperienze antecedenti, riteniamo inutile segnalare alla sovrintendenza quelle che potrebbero definirsi delle semplici intuizioni. Tali riteniamo quelle qui esposte. È infatti doveroso fare presente, a quanti di dovere, che due anni or sono, segnalammo alla sovrintendenza di Catania, con lettera protocollata, il rinvenimento, sul greto del fiume Simeto, di due reperti: una pietra arenaria che portava delle incisioni sulla superfice superiore di essa, e una struttura muraria che, a prima vista, ci sembrò si trattasse dei resti di un ponte romano. Dopo il lungo silenzio degli organi preposti, a cui rivolgemmo il nostro urlo di gioia, che credevamo si sarebbero pronunciati in merito, decidemmo di fare esaminare, privatamente, il reperto da prestigiosi geologi. Secondo le loro opinioni le incisioni sulla pietra arenaria furono eseguite da mani umane.
La imponente struttura muraria fu, anch’essa, fatta esaminare da ingegneri qualificati, da noi portati in loco per esprimere giudizi tecnici, i quali ci rilasciarono regolare relazione tecnica autografa. Come affermato, a tuttora, la sovrintendenza non ha fornito alcuna risposta. Ciò nonostante, se gli organi preposti ritenessero utile quanto da noi qui esposto, non ci sottrarremo dalla dovuta collaborazione. Chiunque, fra gli accademici, volesse adoperarsi per far risorgere la nobile storia adranita e gli edifici che con la loro presenza la testimoniano, troverebbe in noi i più ardui sostenitori.
Ad majora.