Da qualche secolo a questa parte, il territorio adranita, sovvertito per i motivi più disparati che vanno dalle esigenze agricole a quelle di edilizia popolare, consegna reperti archeologici che, pur “urlando” il proprio valore quale veicolo di testimonianza storica, nel senso che in essi vi sarebbero racchiusi dei messaggi utili alla interpretazione di come gli Avi nostri concepissero il mondo e il sovramondo, rimangono silenti, mentre gli accademici locali, accecati dal sole nascente guardano ad Oriente con più interesse.
Tocca dunque a noi neofiti, invocando il soccorso della Musa ispiratrice, tentare di assolvere al duro compito, a costo di pagare il pegno di essere tacciati di eresia come tutti coloro che, fuori dai salotti autoreferenziali, formano l’enorme schiera dei silenziosi ricercatori della verità.
Il culto e il sacerdozio.
Così come oggi sarebbe impossibile ignorare il ruolo che ha esercitato il Vaticano nel mondo cristiano, e non solo, nel corso del nostro studio non potremo riferirci alla città di Adrano ignorando che in essa era stato edificato il tempio del primordiale avo sicano, come affermano Diodoro Siculo e Plutarco, il cui appellativo era quello di Adrano, appellativo che in altri studi, dedicati alla lingua parlata dai prischi Sicani, abbiamo tradotto con “Il furore dell’Avo”. Come emerge dai dati documentali e dai reperti archeologici che esamineremo insieme ai nostri lettori, crediamo, infatti, che la città, essendo sede del Santuario della divinità “Onorata grandemente nell’isola”, fosse necessariamente la sede dei sacerdoti che amministravano il culto a Lui dedicato. Ora, è risaputo che i sacerdoti, a prescindere dal culto di appartenenza, in tutte le civiltà dell’antichità, erano i detentori di un sapere che veniva tramandato ai rispettivi successori, e soltanto a loro, non senza averli prima sottoposti ad una adeguata iniziazione. Ma un tale sapere, sebbene custodito gelosamente affinché, come viene affermato dal detto biblico, non si corresse il rischio di darlo in pasto ai porci e da questi calpestato, veniva in parte palesato e criptato attraverso un simbolismo che il profano non sarebbe stato in grado comunque di decodificare, e che, però, per gli addetti ai lavori era funzionale e indispensabile per esercitare alcune pratiche rituali, magiche o scientifiche che definire si voglia. È probabile che il sacerdote, il mago o lo scienziato che avesse utilizzato tali oggetti in vita, venisse seppellito con tali oggetti una volta che egli avesse abbandonato il mondo. Crediamo ancora, per i motivi che più sotto spiegheremo, di esserci imbattuti in interessanti reperti facenti parte del corredo funerario di una sepoltura in cui l’illustre ospite era un sacerdote dell’Avo Adrano, vissuto intorno al quarto millennio a.C.
Il corredo funerario: significato del simbolismo dipinto nella ceramica.
La sepoltura di cui ci occuperemo, una delle tante ricavate da grotte di scorrimento lavico che nella periferia della
città di Adrano sono numerose, è stata datata dagli studiosi intorno al IV/III millennio a.C. Già le dimensioni dello scheletro lascerebbero sconcertati gli studiosi: poco meno di due metri. Ma qui noi ci occuperemo del significato dei simboli ritrovati dipinti nella ceramica deposta accanto all’illustre personalità ivi deposta, che, come sopra affermato, potrebbe attribuirsi ad un sacerdote della divinità locale e nazionale appellata Adrano.
Per quanto concerne alcuni concetti generali di ordine sacro, meglio espressi dai giganti di questa tematica, quale era Mircea Eliade, non avendo le competenze che possano eguagliare questo ispirato autore, rimandiamo allo stesso coloro che desiderano approfondire l’argomento, noi piuttosto, azzarderemo in questo breve excursus, ad esporre la nostra inedita interpretazione della cultura sicana, così come l’abbiamo elaborata tenendo conto dei numerosi reperti adraniti appartenenti alla tarda epoca del neolitico e ancora all’inizio dell’età del bronzo, reperti che come sopra affermato, in molti casi vengono da noi considerati alla stregua di pagine su cui, per mezzo di una scrittura pittografica, maldestramente scambiata per elementi decorativi ed espressioni artistiche, sono state veicolate, invece, a nostro modo di vedere, in forma criptata, alcune delle conoscenze padroneggiate dagli Avi nell’ambito di molteplici discipline, da quella metafisica a quella astronomica e molte altre ancora. Se quanto qui asserito risulterà inverosimile ai più, non certo ai nostri lettori, essi sappiano che nel museo di Trapani (proprio a Trapani, Apollonio Rodio poneva la sede o una delle sedi, del popolo dei Feaci; un popolo di navigatori capace di muovere le navi con la sola forza del pensiero. Fuor di metafora..), viene esposto un teschio del III millennio a. C., ritrovato a Partanna, il quale porta i segni di un intervento di trapanazione chirurgica. La cosa stupefacente consiste nel fatto che l’intervento, che aveva lasciato un ampio foro nella parete frontale probabilmente ricoperto poi da una lastra d’argento per proteggere la massa cerebrale rimasta esposta, era perfettamente riuscito. Infatti, attraverso un’accurata analisi del foro praticato, è stato appurato dagli studiosi che il paziente era sopravvissuto dopo l’intervento ancora per un anno.
La croce preistorica.
Ma andiamo al simbolismo espresso nella ceramica adranita e al nostro tentativo di decifrarlo. Due piatti delcorredo funerario sono decorati con splendide e artistiche croci, simili del tutto a quelle adottate dai cavalieri gerosolimitani del Medio Evo. A motivo di precedenti nostri studi comparativi, che individuavano numerose, quanto sconcertanti affinità tra la cultura sicana e quella sumera, studi da noi condotti per via indipendente, siamo venuti strada facendo a conoscenza degli studi condotti anni prima dal sumerologo Zecharia Sitchin. Trovando questi ultimi in linea col nostro metodo e ritenuto un maestro ispirato questo grande sumerologo, abbiamo dalle sue intuizioni
attinto a piene mani, specialmente per ciò che concerne i risultati da lui ottenuti con la traduzione delle tavolette contenenti testi astronomici, disciplina in cui i Sumeri, come è universalmente riconosciuto, eccellevano. Secondo lo studioso, la croce rappresentava il dodicesimo pianeta del nostro sistema solare, pianeta dal quale “gli dèi” provenivano. Il motivo per cui il pianeta veniva rappresentato con una croce era dovuto al fatto che, ogni rivoluzione che esso compiva attorno al sole, che durava tremila e seicento anni, era caratterizzata dall’incrocio ravvicinato col pianeta Terra. Il pianeta degli dèi denominato Nibiru, incrociava il pianeta terra, nel senso che gli passava pericolosamente vicino al punto da procurargli, essendo di dimensioni notevolmente maggiori, considerevoli perturbazioni d’ordine astronomico che si riflettevano inevitabilmente anche sull’assetto sociale. Questo era il motivo per cui tutti i popoli della terra tenevano incessantemente lo sguardo rivolto al cielo: essi aspettando il passaggio di Nibiru si interrogavano circa le conseguenze che avrebbe prodotto e se avessero potuto prendere le dovute precauzioni per prevenire i disordini sociali provocati dal nuovo assetto terrestre. Che Sitchin potesse avere ragione circa l’esistenza di un dodicesimo pianeta, invisibile ai più potenti telescopi in nostro possesso, e dunque non inserito dagli studiosi nel nostro sistema solare, ci viene fornito dalla strana presenza di tre prolungamenti disegnati all’estremità di ogni braccio della croce dipinta nel piatto rituale adranita. Essendo tre per ogni estremità, il numero di questi prolungamenti è dodici. Il dodici, come è risaputo, rappresenta un numero astronomico molto presente nella cultura di ogni popolo. Ma non è tutto. Il nostro sumerologo, abile decifratore dei testi cuneiformi, facendo riferimento ad un testo sumerico, detto della creazione: Enuma elis, afferma che la vita sulla terra sia stata portata da Nibiru grazie all’impianto del genoma degli “dèi”, cioè gli abitanti del dodicesimo pianeta, in quello degli ominidi che abitavano la terra. Se lo studioso ha visto bene – e gli darebbe a nostro avviso ragione il ritrovamento in diverse aree geografiche di decine di bassorilievi che fanno esplicito riferimento agli spermatozoi umani- la sequenza di rombi presenti nei piatti adraniti tra un braccio della croce e l’altro, potrebbe riprodurre stilisticamente le due eliche del genoma umano. In questo caso, utilizzando la fantasia, ingrediente che un ricercatore non deve farsi mancare, il simbolismo
riprodotto nel piatto, starebbe a indicare che la vita (la doppia elica del DNA espressa con la sequenza di rombi) sulla terra proveniva dal pianeta (Nibiru? ) indicato con la croce. Se dunque, tra le molte affinità esistenti tra la cultura sumerica e quella sicana messe da noi in evidenza in alcuni nostri studi precedenti e pubblicati nel sito web miti3000.eu, aggiungessimo la conoscenza del funzionamento della genetica, si trarrebbe la conclusione che, essendo stato Enki in Mesopotamia lo scienziato che diede vita al progetto della creazione dell’uomo, nell’isola sicana il suo equivalente dovrebbe essere stato Adrano. Il corredo funerario ritrovato nella grotta adranita, dovrebbe di conseguenza raccontarci per simboli, alla stregua delle tavolette sumeriche incise con i cuneiformi, la CREAZIONE DELL’UOMO.
Ad maiora e al prossimo “incrocio”.