La valle dell’ Orgale.
Abbiamo voluto riservare le nostre attenzioni alla contrada denominata Orgale, nel comune di Castiglione di Sicilia, poiché, a nostro avviso, nel toponimo e nei monumenti preistorici in essa insistenti, nonché nella simbologia ritrovata incisa nei sepolcreti, si nasconde la visione del mondo degli Avi nostri a cui poca attenzione fino ad oggi e stata dedicata. I lettori sono a conoscenza dei nostri studi sulla decriptazione della lingua sicana e conoscono l’importanza che attribuiamo ai toponimi, in quanto nel significato di essi è spesso racchiusa la storia del luogo. Conoscono ancora, i lettori, la tesi da noi proposta secondo la quale i Sicani che abitarono la nostra isola fin dall’epoca paleolitica, appartenevano alla grande famiglia del popolo indoeuropeo e che, fra i popoli che la costituivano, con i Germani avevano maggiore affinità tanto è vero che anche la lingua, come si evince dalle epigrafi sicane giunte fino a noi, mostra molte somiglianze. Proprio dalla toponomastica, dunque, inizieremo per proporre l’ipotesi di studio riguardante la cultura che si stabilì nella valle dell’Orgale presso il suggestivo borgo di Castiglione di Sicilia.
Il toponimo Orgale deriverebbe dal lessema hörgr con il quale, nella lingua nordica antica, si indicava un altare costruito con pietre sovrapposte a secco. Sull’altare posto davanti al santuario, che di solito era parte della natura stessa, un luogo particolarmente suggestivo e carico di forze come una grotta, un fiume, un bosco, veniva poi eretto un pilastro. La modalità appena descritta con la quale i popoli germanici esprimevano l’edilizia sacra, viene ricostruita anche grazie alla lettura del canto di Hyndla contenuto nell’Edda poetica. In un brano del su citato canto viene infatti affermato: “Egli ha eretto in mio onore un hörgr di pietre ammonticchiate. Egli l’ha di fresco arrossato di sangue di giovenca”. Il fatto che si preferisse sacrificare una giovenca piuttosto che un toro, ci induce a pensare che il sacrificio descritto nel canto riportato, venisse praticato a conclusione di un rito della fertilità. Il pilastro eretto sull’altare, a cui l’animale veniva legato, potrebbe infatti rappresentare il simbolo della virilità. Il padre Cielo (con il sostantivo Ano, nell’antico alto tedesco, si indicava l’avo, il nonno, l’antenato. Il sostantivo Ano, Avo, era sinonimo di Cielo, in quanto era il luogo di residenza del padre della stirpe sicana il cui appellativo era Adrano), sapientemente evocato e grazie al rito, funzionale ad ottenere il suo consenso, attraverso le piogge che avrebbe profuso avrebbe inseminato la terra da cui traggono la loro vita tutte le creature che la abitano. Il mito greco, e il mito è l’espressione del sacro, suggerisce che, attraverso l’evirazione di Urano (Ur-Ano=Cielo primordiale, firmamento), il cui membro sarebbe caduto nel mare in cui si formò la vita, si sarebbe praticato un rito sacrificale cruento della fertilità con spargimento di sangue (con il termine hörgr si indicava anche tramite il suono della parola, l’altare su cui si praticava tale rito). Il rito della sacra evirazione, mal interpretato in Medioriente, si sarebbe ancora riprodotto in epoca storica. Annalisti romani la descrivevano con orrore, affermando che durante la processione svolta in onore della dea Cibele, i sacerdoti, in preda ad una frenetica esaltazione prodotta dal suono di cembali e tamburi, si eviravano pubblicamente. Ora, nella valle dell’Orgale, un menhir modellato secondo le fattezze dell’organo maschile di riproduzione, si erge accanto a due grandi rocce. Queste gli stanno di fronte in modo da formare una insenatura (vulva?). Se queste rocce siano state modellate dalla natura o dalle sapienti mani istruite dalla devozione religiosa degli Avi nostri, sarà il lettore a decidere, attingendo a quanto affermeremo e a quanto il suo intuito gli suggerirà, non esistendo strumenti scientifici adeguati a stabilire la verità.
La vulva della terra e il fallo del cielo.
Quale eterno santuario di pietra, come sopra descritto, si erge un menhir di fronte a due vicine rocce.
Non essendo noi degli astrofisici non ci spingeremo oltre l’intuito, non entreremo nei meandri della antica scienza e ci limiteremo ad affermare che non ci stupiremmo se si osservasse, durante il periodo dell’equinozio, il sole proiettare l’ombra del menhir fra le due pietre. Del resto, il concetto della sacra unione tra il Cielo e la Terra fu talmente metabolizzato dalle antiche civiltà di tutto il mondo, da essere utilizzato fino ai tempi odierni, anche se spesso in forma di poesia.
Nei Veda, il testo sacro degli antichi indiani, in cui tremila anni fa furono vergate le intuizioni dei Rsi, sono riportate le frasi che il marito pronunciava durante l’unione con la propria moglie. Attraverso le parole pronunciate si evince che la coppia, paragonandosi al Cielo e alla Terra, era conscia dell’analogia che esisteva tra questi. Ma anche se volessimo attribuire agli Avi nostri non un comportamento religioso, ma semplicemente superstizioso o magico, tale atteggiamento ci porterebbe comunque ad accettare una conoscenza esperienziale dei fenomeni naturali, agricoli nel caso specifico, da loro posseduta. In questa esperienza si manifesta la consapevolezza che la natura femminile, sia pure nel mondo vegetale, necessita della presenza dell’elemento maschile per essere fecondata. I nostri contadini, infatti, sanno che in una piantagione di pistacchio per esempio, bisogna introdurre una pianta di maschio (così come per la palma da dattero e il kiwi). Soltanto così può avvenire l’impollinazione della pianta femmina. L’elemento analogico che si manifestava in ogni elemento, fu presto intuito dagli Avi sicani. Si comprese che i meccanismi che determinano la nascita, la vita e la morte, sono i medesimi per ogni essere vivente, mondo vegetale incluso; l’universo stesso con le sue stelle e i pianeti si conduce con le medesime regole.
Il ciclo della natura nella valle dell’ Orgale.
La valle dell’Orgale rappresenta un libro di pietra su cui è scritto l’eterno ciclo di nascita, crescita e morte. Il menhir e la vulva che abbiamo immaginato essere formata dalle due vicine rocce, simboli della riproduzione, le vasche rituali ricavate nella eterna roccia in cui veniva raccolta l’acqua, simbolo di vita e di purezza, e infine le tombe, in cui si concludeva il ciclo della vita umana;
tutto ciò coesiste nella valle dell’Orgale quale monito per l’uomo, affinché non dimentichi il proprio ruolo nel creato, quello di essere garante dell’equilibrio cosmico. Un simbolismo, presente nel pavimento di una nicchia sepolcrale, sembra attestare che non ci siamo sbagliati circa l’universalita’ della veltanshauung posseduta dalle genti indoeuropee a cui i Sicani, nostri Avi, aderivano. Si tratta del simbolo del sole, della luce, della rinascita, consistente in otto raggi perciò detto anche sole raggiato.
Questo simbolo si ritrova impresso con inusitata frequenza anche su molti pesetti da telaio che venivano deposti, come parte del corredo funebre, nelle tombe del periodo arcaico. Non stupisca la compresenza del simbolo della procreazione con la necropoli, poiché la morte, per i prischi Sicani, rappresentava soltanto il passaggio a nuova vita, ad una rinascita. L’esplicito simbolismo dell’atto sessuale rappresentato sul chiusino di una tomba di Castelluccio ne è l’ennesima evidenza. Sul simbolismo della spirale, del numero otto, del sole raggiato con otto aculei, abbiamo dissertato sufficientemente nei nostri precedenti articoli per ripeterci in questa sede. Spenderemo invece qualche parola in più sulle vasche rituali, ritrovate numerosissime non solo in Sicilia, ma anche in tutta Europa, e che soltanto nella nostra isola sono state catalogate incredibilmente come palmenti rupestri. Che alcune di queste vasche possano essere state riutilizzate in anni recenti, durante cioè la depressione dell’ultimo dopoguerra, come palmenti è plausibile, ma non fu quella la prima destinazione d’uso.
Le vasche rituali.
Che le vasche ricavate nelle rocce abbiano avuto uno scopo rituale, si intuisce dal luogo difficilmente accessibile in cui esse vennero ricavate: sulla cima di alte rocce, come nel caso di Adrano, dell’Argimusco, di Cerami etc., in luoghi di difficile accesso come nel caso di quella rinvenuta nella valle dell’Orgale.
In questa valle abbiamo trovato le più grandi e spettacolari vasche. Non sapremo mai per quali riti si utilizzavano le vasche, ma conosciamo il grande valore simbolico che i nostri maggiori attribuivano all’acqua. Facendo riferimento alla disciplina delle religioni comparate, possiamo utilizzare al nostro scopo un passo dei Veda, – PGS I,16,19,22-, in cui viene descritto il momento del parto. Ebbene, si può in esso notare che il padre ponendo ritualmente una bacinella d’acqua vicino alla testa della madre, si rivolgeva alle acque definendole custodi, assieme agli dèi, della madre, e come custodi ne invoca quindi la protezione. Ancora un collegamento tra le acque e la donna, entrambe donatrici di vita, si presenta nel passo X, 85,24 del Rig Veda, allorché, lo sposo, rivolgendosi al cielo, invocando un matrimonio stabile, afferma di liberare la sposa dalle catene protettrici di Varuna che era la divinità delle acque. Nel sostenere che le catene del dio delle acque proteggevano la donna avvinghiandola, si afferma implicitamente che l’elemento acqua è consustanziale al genere femminile. A tale proposito, ricordiamo che il feto si sviluppa nel liquido amniotico e che il momento del parto è definito rottura delle acque. Alla luce di quanto osservato fin qui, non stupirebbe l’idea che la valle dell’Orgale rappresentasse per gli avi Sicani il luogo sacro in cui si celebravano in primavera i matrimoni tra le giovani coppie, in armonia con il matrimonio tra il Cielo e la Terra. Le coppie avrebbero dovuto percorrere un tragitto che, a nostro avviso, iniziava dal menhir, simbolo di fecondazione, e terminava nelle vasche, simbolo di nascita, crescita e purificazione.
Ad maiora.