Premessa
Non si può affrontare una ricostruzione dei fatti pre-storici senza tener conto della weltanshauung dei popoli che li determinarono. Non si può, di conseguenza, affrontare la storia delle origini prescindendo dal giusto punto di vista di partenza. Questo sarà per tanto il primo nostro atteggiamento nei confronti del lavoro di cui ci stiamo per sobbarcare.
Poiché nulla ci è pervenuto di prima mano di quel lontano periodo, dobbiamo poterci districare attraverso il linguaggio primordiale del simbolismo che in Sicilia abbondantemente è presente, scolpito nell’eterna pietra. Figure antropomorfe e zoomorfe, vasche rituali, menhir, dolmen, templi rupestri ci comunicano, attraverso un linguaggio primordiale, non una storia di guerre e conquiste territoriali, frutto della degenerazione di un uomo che avrebbe successivamente abbandonato il rapporto con il Padre Cielo, ma un rapporto spirituale intrattenuto con il mondo delle origini e rappresentato sulle pietre. Alla luce di quanto qui espresso e a motivo della originalità dei metodi interpretativi da noi proposti, temiamo che il nostro lavoro, proprio per la metodologia di cui si avvale, sia condannato alla congiura del silenzio. Noi siamo rassegnati a scrivere per molti, ma non per tutti, certi che non sempre il numero sia sinonimo di potenza e verità.
Roccella, l’ Argimusco e le nuove scoperte.
L’atteggiamento mentale in cui ci si deve porre accostandoci ad un sito qual’e’ quello dell’Argimusco e dintorni, non può essere quello dello storico alla ricerca di fatti da collocare in tempi cronologici. Qui ci si trova di fronte ad un mondo atemporale che immortalo’ sulla pietra i fatti dello spirito. Qui non saranno le pergamene a parlare, ma il mito e il simbolo. In ausilio della ricerca che condurremo, concorreranno le diverse discipline scientifiche, per prima la toponomastica.
Toponomastica: Arke-Muse
L’enigmatico sito dell’Argimusco si trova nei pressi della città chiamata Elicona. Ora, poiché il Monte Elicona per i Greci era il luogo dove abitavano le nove Muse, divinità protrettici delle arti e delle scienze, l’Argimusco, a nostro modo di vedere, può avere nelle Muse un preciso riferimento. Le Muse erano figlie di Mnemosine, la memoria, il ricordo, appare dunque plausibile che il sito dell’Argimusco sia stato realizzato dagli Avi col chiaro intento di consegnare una memoria ai posteri.
La fortificazione megalitica di Mannara Gesuitto.
Un muro ciclopico forma un recinto in Contrada Mannara Gesuitto, nel territorio di Roccella Valdemone. Questo
muro realizzato in opus quadrato con pietre del peso di tonnellate, è stato riutilizzato come recinto di mandrie e mai è stato preso in considerazione il motivo per il quale vennero impiegate enormi risorse ed energie per realizzarlo. Grazie all’utilizzo di droni abbiamo altresì potuto constatare che a monte del recinto esistono ben altri quattro muri ciclopici. All’interno di quello che ormai ci appariva un sito archeologico, risalente forse all’età del bronzo, nascosto da un fitto bosco di pini, si può soltanto osservare l’insistenza di rocce che, per la particolare caratteristica e forma, apparivano come volutamente lasciate in situ.
Il culto della Dea Madre.
Poco più in là del ciclopico recinto, presso il bivio Zilla, a meno di un chilometro di distanza, all’interno di un fitto bosco notammo ancora la presenza di rocce stranamente intagliate. La dottoressa Tatiana Melaragni, archeologa di lunga esperienza, osservando le foto che le inviammo, non ebbe dubbi a collocare nell’ eneolitico i manufatti e, a motivo delle fessure realizzate nelle rocce di morbida arenaria, ad attribuirli ad un culto celebrato in onore della grande dea madre. Se così fosse, a nostro parere, i tre vicinissimi siti dell’Argimusco, di Contrada Mannara Gisuitto e quest’ultimo, sarebbero in qualche modo collegati. Una antropizzazione senza soluzione di continuità culturale, dovette protrarsi dall’eneolitico fino ad epoca greca per poi sparire assieme all’abitato in epoca romana, quando, grazie alla globalizzazione che viaggiava sulle gambe dei legionari, villaggi fortificati a mille e duecentometri sul livello del mare, un tempo nerbo militare dei Siculi fino ad allora invitti, come quello qui documentato, risultarono anacronistici ed economicamente improduttivi rispetto agli agevoli mercati della pianura.
Non perderemo di vista questo squarcio di mondo in cui vissero gli Avi nostri in perfetta armonia con il paradisiaco paesaggio che li circondava: le suggestive cascate di Palazzolo, i boschi dei Peloritani, le rocce dalle forme scolpite dal dito di Dio. Li, lungo la via delle tholoy, come sentinelle sempre in allerta, sembrano ammonirci perché il nostro sguardo si volga di tanto in tanto al passato.
Ad maiora.