“Si sappia che i Greci scrissero
le loro pagine di storia sulla materia
innalzando rotonde colonne di pietra,
i Sicani le scrissero sull’imperituro
spirito della propria stirpe”.
In questo articolo intendiamo approfondire quanto di non detto emerge dai racconti degli storici, loro malgrado. Primo tra tutti, esamineremo il trattato dello storico ateniese Tucidide. Perché lui? Perché il Nostro venne palesemente accusato da Dionigi di Alicarnasso di aver raccontato una storia che andava taciuta e che, implicitamente, Dionigi riconosceva, dunque, come veritiera per quanto scomoda, motivo per cui la utilizzeremo come fonte tra le più attendibili per il nostro scopo. Ma, è chiaro che bisogna saper leggere tra le pieghe del racconto dello storico ateniese il quale, avendo messo per iscritto la sua storia mentre era ancora in corso il conflitto, alcuni fatti accaduti sia nel campo militare, sia in quello politico, poiché avrebbero potuto compromettere la sua incolumità e quella di altri, vennero dal Nostro criptati.
Il rancore che Dionigi nutriva nei confronti dell’ateniese, era motivato dall’eccesso di amor patrio. Lo storico di Alicarnasso vedeva emergere attraverso il racconto di Tucidide, una Grecia piena di contraddizioni e di tratti poco nobili, i quali offuscavano la gloria dei Greci, alla cui crescita avevano contribuito i dialoghi platonici e la coerenza del pensiero socratico fino al sacrificio personale del secondo. Nella storia raccontata da Tucidide, gli eroi, che fino a quel momento avevano impersonato tutti i tratti dell’ideale greco: bellezza, eloquenza, fierezza rinvenibile nella gioventù di cui Alcibiade era l’esempio mitizzato, cadevano miseramente col racconto dell’ateniese in cui Alcibiade si trasformava nel traditore della patria e le città in preda ad un delirio egemonico rivelavano un cinismo (vedi il dialogo intercorso tra gli ambasciatori Ateniesi e i senatori dell’isola di Melo) che vanificava ogni insegnamento socratico. Quella del Peloponneso fu, dunque, una guerra che, oltre ad aver coinvolto il mondo allora conosciuto, poteva definirsi un conflitto fratricida, combattuto tra Greci; non solo emergevano in quel conflitto gli aspetti peggiori di una società che al tempo di Dionigi aveva fondato il proprio prestigio sugli aspetti più nobili dell’essere; ma minava la stessa posizione della Grecia quale ombelico del mondo. In una Grecia così concepita, un greco, racchiuso nel proprio grecocentrismo, mai avrebbe riconosciuto alcun contributo culturale che gli fosse derivato da un popolo barbaro. Infatti, per quanto si affermi comunemente che i Greci siano gli iniziatori del pensiero occidentale, gli orientalisti sostengono invece che la loro filosofia sarebbe un derivato dell’Oriente. Sorvolando sulla constatazione che le condizioni più propizie si generarono nelle colonie greche dell’Asia minore, dal nostro punto di vista, non possiamo ritenere irrilevanti i continui viaggi di Apollonio di Tiana nell’India, contemporaneo di Gesù, che come questi praticava miracoli, oppure le teorie di Pitagora sulla metempsicosi così vicine a quelle induiste. Erodoto, distante dalle posizioni prese successivamente da Dionigi, riconosceva, in ambito teologico, che i Greci avevano mutuato dagli Egizi l’uso di dare nomi alle divinità.
Ma torniamo ai fatti storici. Le informazioni che giungono da Tucidide, saranno per noi preziose in quanto convalidano le nostre prime intuizioni che, fin dall’inizio, si sono focalizzate sulla ricostruzione storica dei nostri prischi antenati, i quali apposero il primevo nome di Sicania e quello contemporaneo di Trinacria, all’isola ereditata dall’avo Adrano, capo della stirpe.
La Verità Sulle Fondazioni Greche In Sicilia.
È lo stesso storico ateniese a metterci in guardia sulle falsità storiche canonizzate come verità assolute al suo tempo, affermando che: “ Né gli ateniesi né altri dicono qualcosa di esatto a proposito dei loro tiranni e degli avvenimenti passati”. Ad una affermazione così icastica nei confronti degli storici, fatta da un autorevole storico, fa eco colui il quale, come suo unico obiettivo ebbe la ricerca della verità su tutti i piani dello scibile umano, il filosofo Platone. Questi, nel “Minosse” con riferimento proprio al re cretese, di cui esisteva una versione che ne faceva un despota odioso ai Greci, sosteneva una versione opposta che lo voleva giudice buono e saggio nell’aldilà. Guai a colui che risulta inviso ai poeti; quest’ultimi possiedono, infatti, il potere di condannare ad una pessima sorte anche i re, sosteneva appunto Platone. Per concludere, come già affermato sopra, ma vale la pena di tornarci, Dionigi di Alicarnasso rimproverava Tucidide che si era sottratto alla regola del silenzio e affermava che gli storici greci non dovevano raccontare ciò che non tornava a beneficio della reputazione greca. L’atteggiamento omertoso della maggioranza degli storici greci, rimase sempre in vigore, tanto che perfino Diodoro di Agira, un Siciliano, che sicuramente non ignorava la cultura dei prischi Sicani ancora viva al suo tempo, compilando un enorme trattato che interessava la storia dei popoli della terra tra i quali gli Iperborei, rimase assai vago su ogni cosa che in Sicilia non avesse un’impronta greca; perfino sulla natura della massima divinità sicana, Adrano, non oserà soffermarsi quando il greco Timoleonte ne invocherà la protezione sacrificando al suo altare.
Senza il racconto di Tucidide avremmo dunque facilmente creduto che i Greci avessero fondato decine di città in un’isola, la Sicilia, che avrebbero trovata semideserta.
Le Fondazioni In Sicilia.
Nel libro VI di Tucidide si evince tutt’altra conclusione. I reperti archeologici ritrovati nelle pseudo fondazioni greche, inoltre, convalidano la tesi che esporremo più giù, in quanto la loro cospicua presenza dimostra una fitta e ininterrotta antropizzazione dell’isola fin dalla preistoria. Là dove sono assenti i reperti archeologici pre greci o dove scarsa fu l’indagine archeologica, tornano comunque sufficienti le fonti storiche, che da sole provano la pre esistenza di città o villaggi Siculi nei luoghi di insediamento greco. Porteremo a prova di quanto sostenuto fin qui, ciò che viene affermato esplicitamente da Tucidide, in particolare nel libro VI della sua opera, al quale è possibile integrare le versioni di Strabone e Diodoro per avere una visione più esatta degli eventi.
Fondazione O Rifondazione?
Inizieremo questo capitolo portando l’esempio di come sia avvenuta la fondazione di Siracusa, le cui modalità possono essere applicate alla maggior parte delle fondazioni greche. Tucidide, inizia il sesto libro della sua ponderosa storia affermando esplicitamente che i Greci si insediarono in un quartiere di Siracusa chiamato l’isola, ove i reperti archeologici testimoniano la ininterrotta presenza umana fin dalla preistoria, dopo aver respinto i Siculi che vi abitavano. Esaminando i fatti successivi, constateremo tuttavia che i Siculi espulsi da quel quartiere altamente strategico, di cui Cicerone nelle verrine afferma che un pugno d’uomini avrebbero potuto difenderlo contro un esercito, non solo rimasero a Siracusa, ma ne condizionano sempre la politica. I Siculi, dunque, privati della supremazia politica rimasero all’opposizione, ma continuarono ad essere così influenti da far si che la loro cultura non fosse minimamente scalfita dai tentativi di sovrapposizione culturale greca se, ancora al tempo di Cicerone, questi può fare riferimento alle divinità sicule presenti a Siracusa, oggetto di pellegrinaggio da parte dei Siculi provenienti da tutta la Sicilia.
È tanto vero che i Siculi rimasero a Siracusa che essi vennero appellati alcuni Gamoroi, altri Kiliroi. Secondo la nostra ricostruzione storica la cui comprensione non può prescindere dal significato attribuito alla terminologia sicula, funzionale ad esprimere concetti altrimenti incomprensibili ed indicativi del ruolo sociale svolto da determinate categorie, (vedi l’articolo: “Jam akaram, la lingua dei Siculi” e “I Cilliri del Simeto), i Gamoroi erano quegli aristocratici moderati che si erano allineati alla politica del futuro tiranno Archia. Costui diverrà il primo tiranno della storia di Sicilia proprio perché dopo il suo volta faccia ostacolerà con la forza l’opposizione democratica sicula. È plausibile che alcuni aristocratici Gamoroi avranno fatto parte delle istituzioni siracusane del III sec. a. C. Tra questi riteniamo farvi parte Adranodoro, genero del successivo tiranno Gerone II e il cavaliere Soside suo contemporaneo, colui che aprirà le porte della polis ai Romani e probabile discendente di quel Soside che, con i democratici suoi colleghi e concittadini, due secoli prima della caduta di Siracusa in mano romana, nel 405 a. C. aveva assediato nella sua reggia il neo tiranno Dionigi il vecchio, per poi fuggire in Medio Oriente quale mercenario al servizio di Ciro dopo che il tiranno siracusano ebbe ripreso il controllo sulla città. L’altra categoria sociale sicula, che dovette giocare un ruolo di primo piano in chiave anti tirannica, e che, successivamente dovette trasformarsi in una temibile opposizione politica, fu quella dei Kiliroi, ovvero dei portuali. La ribellione di costoro dovette verosimilmente innestarsi per ragioni economiche, in quanto questi portuali vedevano pian piano vedersi sfuggire di mano il controllo marittimo a vantaggio dei nuovi arrivati greci. La ricostruzione fin qui esposta, che vede in Siracusa una città già politicamente, militarmente ed economicamente importante fin dall’arrivo dei Greci, diventa plausibile se ci si sofferma su una anomalia, incomprensibile se vista dal punto di vista dell’orgoglio greco: Archia, passato alla storia quale ecista di Siracusa, sarebbe un ecista sui generis poiché utilizzerebbe un toponimo barbarico per nominare la propria fondazione, “Sicher usa” (vedi l’articolo : “I Feaci e la rifondazione di Sicher usa”). L’apposizione di un toponimo non greco, rientrerebbe invece nella normalità se esso fosse stato apposto fin dalle sue origini sicane e Archia, dopo essere stato accolto nella reggia di Iblone quale esule, come abbiamo ricostruito attraverso l’articolo “I Feaci e la rifondazione di sicher-usa”, avesse brigato per accedere al potere, che successivamente avrebbe trasformato in tirannide, proprio per far meglio fronte all’opposizione sicula che non digeriva l’inganno subito.
Appare evidente che per la Siracusa appena fondata, tutta protesa a consolidare il potere politico e militare al suo interno, se è vero che al termine di tiranno dobbiamo dare il significato di una presa del potere con la forza, dunque privo dell’unanime consenso cittadino, sarebbe stato impossibile potersi dedicare subito alla fondazione di altre importanti città: settant’anni dopo verrebbe, infatti, fondata dai Siracusani l’importante città di Acre; appena vent’anni dopo la fondazione di Acre verrebbe fondata Casmene e ancora appena cinquant’anni dopo questa Camarina – si pensi che Salomone per costruire il famoso tempio impiegò sette anni e una forza lavoro di trentacinque mila lavoratori -. Ma la contraddizione maggiore che non regge la tesi della fondazione di colonie da parte di Siracusa, si mette in evidenza quando si constata che i Siracusani saranno, quasi fin da subito, in perenne conflitto con le proprie colonie ove vi sarebbero dovuti essere, quali cittadini e inseriti nei gangli delle istituzioni, i propri figli e nipoti. Per comprendere chiaramente cosa i Greci intendevano per fondazione, basta citare Tucidide che affermava che Casmene era stata fondata per ben tre volte, due delle quali, la prima e l’ultima ad opera dei Siracusani, oppure Diodoro che, parlando di Jerone, lo ritiene fondatore di Catania soltanto perché il tiranno, una volta che riuscì a conquistarla ne deportò gli abitanti e le cambiò il nome in Etna.
Anche nel caso della fondazione di Naxos, identificata come prima colonia greca in Sicilia, i conti non tornano. Il perimetro delle mura cittadine racchiude, nel momento di massima espansione, un’area che non superò i trenta ettari, con una popolazione al suo interno stimata a non più di quindicimila individui di cui, quelli abili alle armi e ai lavori pesanti (come sopra affermato, Salomone per la costruzione del suo tempio dovette utilizzare trentacinque mila operai sfruttando un lungo periodo di pace intercorsa con i nemici esterni), non avrebbero dovuto superare le tremila unità; ebbene, gli storici greci accordano a Naxos due successive fondazioni realizzate in tempi olimpionici: i Nassi, appena sei anni dopo lo sbarco in Sicilia avvenuto nel 753 a. C., costruita “dal nulla” la propria città, sarebbero stati nelle condizioni di fondare Catania e Lentini. Ma ciò che tradisce l’equivoco delle fondazioni attribuite ai Greci, consiste, come già sopra detto, nella anomalia della toponomastica. Pochissime città attribuite a fondazione greca conservano nomi greci. Appare altresì anomalo che fra l’etnos greco siracusano si noti la presenza di una onomastica sicana che riguarda persone facenti parte degli organi decisionali della Polis: uno dei tre strateghi a cui è affidato il comando dell’esercito siracusano e dei suoi alleati, durante la guerra del Peloponneso, si chiama Sicano, a lui coevo ritroviamo quale tutore del giovane tiranno Geronimo, Adranodoro; Soside sarà colui che, oppositore democratico della tirannide, aprirà nottetempo le porte agli assedianti romani. Ma è ancora Tucidide a fornire le prove che all’interno della Polis più potente del Mediterraneo vi erano due forze politiche che, se non si equlibravano politicamente, di certo si contrastano a volte anche militarmente: quella dei Siculi da un lato, dei Greci dall’altro. Infatti lo storico ateniese afferma che alla fondazione di Imera avevano contribuito dei Siracusani (Gamoroi e Kiliroi ?) fuoriusciti a motivo di guerre interne. Tucidide contribuisce a consolidare le nostre tesi allorquando, nel libro VII della sua storia afferma che: “Anche a Siracusa vi era una fazione che voleva consegnare la città agli Ateniesi; gli aveva mandato messaggi (a Nicia) e non lo lasciava partire (per Atene)”.
Tucidide, come abbiamo visto, semina qua e là porzioni di verità che, se messe assieme, fanno emergere non solo che la presenza sicula nella polis era stata continua a partire dalla pseudo fondazione effettuata da Archia, ma emergono gli aspetti politici democratici della posizione sicula. Infatti, tutte le città sicule libere, durante la guerra del Peloponneso appoggiano militarmente gli Ateniesi contro Siracusa.
Lo storico ateniese getta ancora luce sulla verità storica della Sicilia quando mette in bocca al più prestigioso tra i generali greci siracusani, Ermocrate, le seguenti parole: “Poche sono state le spedizioni dei Greci e dei barbari (in Sicilia) che abbiano avuto successo”. Probabilmente Tucidide ripercorrendo con la mente la storia della Sicilia che vedeva vanificare il tentativo di Minosse di assoggettare la Sicilia, mentre lo stesso era riuscito invece ad assoggettare non solo Atene, ma tutta l’Attica, intendeva alludere proprio al fatto che ben poche erano le reali fondazioni di città effettuate dai coloni greci. Per comprendere le difficoltà in cui si incorre nel fondare una città, basta infatti scorrere le lunghe pagine in cui Tucidide ripercorre il discorso rivolto da Nicia agli Ateniesi i quali, suo malgrado, gli intimano di apparecchiare quanto necessario per la spedizione. Lo stratega tenta, inutilmente, di sottrarsi all’impresa, proprio facendo riferimento alle difficoltà in cui si incorre nel tentativo di fondare con la forza, una città in terra straniera.
Ad majora.