Gelone di Siracusa: un rapporto privilegiato con Adrano.
No cari lettori, voi che non ci avete seguito fin dall’inizio delle nostre ricerche, sappiate: non abbiamo preso un abbaglio cronologico. Adrano subì, in diverse epoche, più di una rinominazione. Pertanto, facendo riferimento alla città di Etna nei fatti storici che si sono svolti durante il brevissimo regno di Gelone, documentati da Diodoro da Agira nella sua monumentale opera, Biblioteca Historica, è ad Adrano che ci si riferisce. Nel fornire in questa sede, una ricostruzione storica delle relazioni intercorse tra le città di Adrano/Etna e Siracusa durante il primo quarto del quinto secolo a.C., per brevità di spazio, non ritorneremo sulla questione della rinominazione rimandando quanti, tra i lettori, avvertissero il desiderio di approfondire tale argomento al saggio, Adrano dimora di Dei, nella storia del mediterraneo greco, e agli articoli apparsi su diversi siti web. Inoltre, per evitare di disorientare il lettore con il citare, di volta in volta, in tempi cronologici diversi, i differenti nomi con cui Adrano venne designata, e per non scambiarla a sua volta con Catania, anch’essa rinominata per un breve arco di tempo in Etna, nell’utilizzare il toponimo derivante dalla divinità eponima Adrano, metteremo tra parentesi il primevo nome di Etna.
Gelone diventa tiranno di Siracusa nel 489 a.C., cedendo al fratello Gerone il controllo su Gela che egli aveva assunto fin dal 491 a.C. Gela, Agrigento, Siracusa, erano in quel momento storico le città più potenti dell’isola. La potenza militare delle tre città veniva amplificata da una politica di mutuo soccorso dettata da vincoli parentali intercorsi tra i tre tiranni: Gelone aveva sposato la figlia di Terone tiranno di Agrigento, Damareta, e, come affermato, era fratello di Gerone a cui aveva ceduto la città di Gela. Tuttavia, numerose rimanevano le città stato sicule che potevano contare sul prestigio delle proprie armi, Adrano (Etna), la città tra le più antiche fondazioni sicane dell’isola, in cui sorgeva il tempio dell’ Avo primordiale, il più antico edificato nell’isola, era tra queste. Gelone, con l’apporto militare del suocero Terone e del fratello Gerone, conduceva brillantemente le operazioni militari contro i Punici che tentavano di erodere i territori delle nazioni presenti nell’isola: Sicani, Greci, Siculi (è questa una suddivisione territoriale schematica che accogliamo secondo la vulgata, ma che andrebbe riveduta nei rigidi confini territoriali ed etnici a loro attribuiti). Il momento che lo porterà a calcare da primo attore il palcoscenico della storia, gli sarà fornito dall’assedio a cui Imera sarà sottoposta da parte dei Punici. L’episodio sarà ricordato come, la battaglia di Imera, svoltasi nel 480 a.C. In questa occasione, nell’ottica di uno scontro tra civiltà, tra le città che erano venute in soccorso del greco, non poteva essere assente Adrano (Etna), la città che ospitava la divinità eponima, detentrice della tradizione ereditata dagli Avi. Diodoro afferma che i Greci erano fiaccati dallo scontro con i Punici e il loro morale era basso. Gli Adraniti (Etnei), sopraggiunti durante il corso degli scontri, infusero con il loro contributo tanto coraggio agli alleati da risultare decisivi per la vittoria sui Cartaginesi.
Adrano: Omphalos del culto primigenio.
Quale segno di riconoscimento al valore dimostrato, Gelone effettuò col bottino dei vinti una serie di elargizioni e riconoscimenti personali e collettivi a quanti avevano preso parte al conflitto come cittadini e alleati. Il re espresse in questa circostanza la volontà di erigere come ringraziamento, un tempio consacrato a Demetra, nella città sicula di Adrano (Etna) che si era particolarmente distinta durante i combattimenti. Diodoro nel rimarcare che mancava ad Adrano (Etna), – una terra tra le più feraci della zona etnea-, uno dei templi più importanti, dedicato alla dea dell’agricoltura e della fecondità, ci induce a supporre che l’aver assentito alla costruzione, nel territorio adranita, di un tempio dedicato ad una divinità greca, assumeva per entrambi: Siracusani da un lato, Adraniti dall’altro, i connotati di un consenso politico che un atto di devozione religiosa. Un atto questo, di grande significato simbolico che, per renderlo comprensibile ai nostri lettori, paragoniamo alla concessione che avrebbe potuto fare lo stato cristiano del Vaticano ai musulmani, concedendogli di costruire una moschea in piazza S. Pietro.
Gli ottimi rapporti che erano venuti a stabilirsi tra i Siculi e Gelone dopo la battaglia di Imera, fecero ben sperare il re tanto da ritenere che egli potesse dedicarsi ad una politica di unificazione dell’isola. Ma la unificazione politica presupponeva la creazione di una entità culturale e religiosa omogenea. Uomo di grande lungimiranza ed intelligenza politica, il re invitò alla sua corte i migliori poeti della Grecia. Ad essi affidò il compito di redigere delle composizioni letterarie volte ad ottenere un sincretismo culturale. Tra i letterati invitati a corte non poteva mancare Eschilo, espertissimo in questioni religiose; egli stesso iniziato ai misteri eleusini. Prevenendo quanti ci faranno notare che Eschilo giunse in Sicilia soltanto dopo la morte di Gelone avvenuta nel 488/7 a.C., chiamato da Gerone nella sua nuova reggia di Catania, noi opporremo la nostra ricostruzione dei fatti ricorrendo alle date, alle circostanze che determinarono le scelte politiche, alle doti politiche possedute dai personaggi attori degli eventi, e via dicendo.
Il sincretismo culturale elaborato da Eschilo nelle Etnee.
“ Che nome dunque i
mortali daranno loro?
Zeus ordina che siano
appellati sacri Palici.
E sarà il nome Palici come
se dato con giustezza?
certamente perché essi
vogliono tornare indietro<
dalle tenebre alla presente luce
Le Etnee, da una citazione di Macrobio nei Saturnalia V, 19,24.
È dibattuta la data in cui il tragediografo greco viene chiamato alla corte di Gerone a Catania (Dopo il 472 a.C. per Walter Lapini: Orestea Fabbri Editore) rinominata Etna dal tiranno, nel 476 a.C.
Se teniamo conto del fatto che Eschilo riesce a mettere in scena la tragedia I Persiani, otto anni dopo la vittoria dei Greci su questi, dovremmo dedurre che il medesimo tempo dovesse essere stato impiegato per comporre le Etnee, un’opera assai complessa, come si evince dai pochi frammenti giunti fino a noi.
Ma al di là delle considerazioni sui tempi d’incubazione necessari per realizzare l’opera, a noi preme comprendere lo scopo per cui questa opera venne commissionata al tragediografo greco e perché proprio a lui.
Per quanto assenti siano le fonti dirette, secondo una tradizione antica, Eschilo sarebbe caduto nell’accusa di aver divulgato i misteri di Eleusi ai quali era stato iniziato, e per questo aveva subito un processo in cui rischiava la condanna a morte.
Nonostante fosse stato prosciolto dall’accusa non facciamo fatica a credere vera questa tradizione se soltanto ci soffermiamo sui temi trattati nelle sue opere, impregnate di una religiosità della quale egli si erge a Ierofante. Tenuto conto delle implicazioni religiose avute in patria, supponiamo che Eschilo ricevesse l’incarico di comporre le Etnee con l’intento di operare un sincretismo tra la religione greca e quella siculo sicana. Crediamo che l’invito gli fosse giunto da parte di Gelone subito dopo la vittoria ottenuta sui Punici ad Imera nel 480 a.C., e dopo che il re aveva
messo in campo una serie di atti per riscuotere una captatio benevolentiae da parte dei Siculi. Come sopra affermato aveva promesso l’edificazione del tempio di Demetra nella città di Etna (Lib. XI, VII). Se, con la ricostruzione dei fatti qui sintetizzata, abbiamo colto nel segno, sarebbe lecito supporre che, il re, incoraggiato dal consenso manifestato nei suoi riguardi dalla città di Etna/Adrano, avrebbe incaricato il poeta, quale apparente atto di omaggio nei confronti della plurimillenaria tradizione sicula, di comporre il dramma. In realtà lo scopo che si prefiggeva il re, era quello nascosto di porre in essere un’operazione di sincretismo religioso fra le due etnie. Dunque Le Etnee sarebbe stata, secondo la nostra ricostruzione, un’opera dedicata alla città di Adrano (Etna) sede della casta sacerdotale detentrice della tradizione atavica. Non dunque, un’opera voluta da Gerone per celebrare la fondazione o rinominazione di Etna/Catania come asserito da qualche autore contemporaneo. L’ipotesi da noi sostenuta prende corpo se si riflette sul contenuto del dramma, ma non solo, come vedremo oltre. In essa gli Dei: Adrano, i Palici, Etna, componenti della famiglia divina Sicana, e, d’altro canto Zeus, prendono i moderni connotati di una famiglia allargata, nella quale: Zeus assume il ruolo di padre naturale dei Palici ed Adrano quello di padre spirituale. Il riferimento alla città di Adrano/Etna nell’opera eschiliana, è palese. L’equivoco in cui sono incorsi alcuni studiosi, per cui si crede che il contenuto dell’opera riguardi Catania, è dovuto al fatto che essa per un breve periodo assunse il nome di Etna. Infatti, sia il tema trattato: il concepimento dei Palici da Parte di Etna avuti da Zeus, sia il coinvolgimento del dio Adrano con sede nella città eponima, equiparato a Zeus, hanno come loro sede il territorio di Adrano (Etna) e non quello di Catania (Etna): l’ara degli dei Palici viene posta da Virgilio sul fiume Simeto, presso Adrano; I gemelli divini, assunta la forma di acque carsiche, perverrebbero successivamente alla luce, come riporta Macrobio, sotto le sembianze di fonti denominate metaforicamente acqua chiara e acqua scura, nella condrada Polichello che da loro prende il nome, presso la città di Adrano (Etna). Se poi, Gerone, avesse utilizzata a proprio beneficio e per fini auto apologeti, l’idea avuta probabilmente dal fratello e avesse voluto adattare l’opera in corso di componimento, alla recente conquista di Catania, é altra questione e del tutto secondaria rispetto alla magistrale operazione di sincretismo ideata dal re.
Che Le Etnee fosse un’opera destinata alla città simbolo della religiosità atavica, Adrano (Etna), emerge anche da un particolare messo in evidenza da Diodoro e passato inosservato per alcuni studiosi: la manifesta gioia di Gerone per aver ottenuto di poter installare una guarnigione siracusana nella città di Etna (Adrano) che egli rinomina in Innessa. La rinominazione di Etna in Innessa, suo primo e antico nome, ebbe lo scopo di far sì che Catania potesse, a sua volta, essere rinominata con il nome di Etna. Questa sciagurata operazione creo’ i presupposti per l’incomprensione di molti passaggi storici riferiti alle due città che portarono, seppure per un breve lasso di tempo, lo stesso nome, e ciò divenne l’occasione per i numerosi equivoci in cui incapparono molti storici antichi e moderni, incluso Diodoro vissuto quattro secoli dopo i fatti da lui narrati. Per comprendere il motivo per cui la ricchissima città di Innessa, governata dal grandemente amato re Teuto nel VI sec. a.C., come riporta Polieno nel suo componimento Stratagemmi, venne rinominata in Etna, consigliamo la lettura dell’articolo: Etna, un matrimonio illustre nella Adrano del VI sec. a.C..
Ad majora.