Poiché lo scopo di questo sito è quello della divulgazione gratuita
sappia il regista che intendesse fornire l’opera sua,
per RIEVOCARE l’illuminata reggenza del principe Sicano, Teuto, nella città di Innessa,
che l’autore è disposto a rinunciare ai diritti d’autore per la messa in scena dell’opera.
Ad Majora.
IL MATRIMONIO DI ETNA
ATTO I
SCENA I
Una ragazza alla toilette, aiutata da due ancelle. Destra della scena
VOCE FUORI CAMPO: Etna è il nome della giovane donna che vedete. Eccola mentre si prepara, in occasione del suo matrimonio. È figlia del principe Teuto, principe giusto, amato dal popolo.
Voce chiama da fuori Etna. Entra Teuto. I due parlano.
VCF: Teuto col proprio ingegno ha reso prospera la sua città, Innessa, e grazie all’amore profuso ai cittadini l’ha resa felice. Ora Innessa è tra le sette città più potenti dell’Isola.
Quando i Siculi, popolo di emigranti, si presentarono agli antenati Sikani di Teuto, questi li accolsero come fratelli e di fatto si integrarono formando un solo popolo con i Sikani.
Buio su Etna. Esce.
VCF: Il principe illuminato a lungo aveva aspettato la nascita di un erede. Gli dèi, che in tutto lo avevano beneficiato, lo avrebbero fatto attendere a lungo prima di concedergli questo dono.
La luce si sposta su un uomo alla sinistra della scena, siede su uno scranno con fare pensieroso.
VCF: Trascorsero così lunghi anni senza che il nostro eroe e sua moglie potessero godere della compagnia di un figlio.
Un giorno, Teuto salì sul monte più alto e si ritrovò a osservare l’immenso cielo azzurro, sede dei suoi Avi. Unico compagno quel gigante di pietra che si ergeva immenso e faceva da guardia all’isola.
Alzò le braccia verso il cielo, invocò gli Avi con parole sacre e piene di forza. Parlò come mai aveva parlato prima.
Invocò Odhr Ano, che in lingua sikana significa “potenza dell’Avo”. A questo dio era stato dedicato un luogo sacro nella città di Innessa.
Teuto, certo che gli dèi non avrebbero mai concesso che una stirpe di tale valore si estinguesse, con queste parole si rivolse al dio.
Teuto: “Odhr Ano, concedimi un’erede. Tu conosci quali mali potrebbero sopraggiungere al popolo e alla stirpe in mancanza di questi: sarebbe un lutto per i padri che mi hanno preceduto, i quali non potrebbero continuare a vivere attraverso la loro discendenza e di conseguenza ne verrebbe un male anche per te, Antenato, poiché il tuo culto si spegnerebbe assieme al fuoco della nostra stirpe. Concedimi dunque un figlio. Fallo non solo per me, ma per noi.”
VCF: Non aggiunse altro Teuto, conscio che ogni altra parola sarebbe stata superflua per un dio che sa vedere nel cuore di chi lo evoca. Quella stessa notte Teuto e la moglie avrebbero concepito una bambina, il cui nome sarebbe stato presto associato ad una grande città. Quel nome nella lingua dei padri significava “Colei che è stata invocata”.
Moglie (seduta o stesa su di un letto) con bambina in fasce e Teuto.
Moglie: Guarda, Teuto, com’è bella la nostra bambina!
Teuto: È bella, molto bella. E molte altre saranno le virtù di cui sarà dotata. Avrà la migliore delle educazioni, sarà una regina giusta e amata dal popolo. Gli dèi devono averla destinata a grandi cose. Non può essere altrimenti per un dono del cielo. Lei è colei che è stata invocata, e così sarà conosciuta tra le genti. Il suo nome è Etna.
SCENA II. L’ANNUNCIO DEL MATRIMONIO
Luce su Etna; buio su Teuto e moglie.
Etna è in compagnia della Balia e intenta in qualche lavoro domestico.
Entra il padre Teuto
Etna: (posa il lavoro e guarda fuori dalla finestra) Non senti gli uccellini cantare?
Balia: Sì, e vorrei strozzarli. Mi hanno svegliata all’alba. In particolare ve n’è uno che odio più di tutti. Dev’essere la nota stonata del gruppo, perché stride come un’arpa male accordata.
Etna: Io li trovo molto graziosi. Sembrano preannunciare qualche lieto evento.
Balia: Non vedo cosa possa accadere di bello. Viviamo già una vita invidiabile.
Etna: Non so … Balia, non hai mai sentito l’esigenza di avere qualcuno accanto.
Balia: Gli dèi mi hanno fatto il dono di diventare la nutrice di una bellissima bambina. Da allora starle accanto mi ha sempre soddisfatta.
Etna: Credo che incontrerò qualcuno.
Balia: Si incontrano persone tutti i giorni.
Etna sospira e riprende il lavoro.
Etna: Balia, credo di avere sbagliato qualche nodo. (le porge un tessuto, con atteggiamento svogliato)
Balia: Fa vedere. Ah, ecco. Lo sistemo io.
Etna: Mi si sono stancati gli occhi. Vorrei smettere per oggi.
Balia: Beh … d’accordo. Tra non molto ti attendono i precettori. Approfittane per prendere un po’ d’aria.
Etna si alza .Nello stesso momento entra Teuto accompagnato dalla moglie.
Teuto: È permesso?
Balia: Re Teuto, Regina!
Teuto: Cara figliola, ho bisogno di parlarti.
(La balia fa per uscire)
Regina: No, Balia, non andare. Ascolta anche tu. Sei stata tanto cara e leale nei confronti di Etna, è giusto che tu sappia.
Balia: L’ho amata come fosse figlia mia. Gli dèi lo sanno.
Teuto: Non indugiamo ancora. Ebbene, figlia mia … Ormai sei una donna ed è giunto il momento che tu prenda marito. Non spaventarti. So che è un passo grande e che andrai incontro ad una nuova vita, dovrai aver cura di te stessa. Tu che sei sempre stata protetta e al sicuro. Ma non temere. Sei la cosa più preziosa per tua madre e tuo padre e opereremo affinché tu sposi un uomo degno del tuo rango e del tuo valore. Tutti i principi, i re e gli aristocratici dell’isola stanno per essere informati. Poi organizzeremo una festa di matrimonio che tutti ricorderanno per sempre e consacreremo la vostra unione davanti agli dèi!
I messaggeri sono già in viaggio. Presto gli uomini più grandi dell’isola verranno in visita per vedere te portando con sé doni meravigliosi. Sceglieremo assieme tra i più valorosi.
Etna: Padre, se potessi rimarrei in casa vostra per molti anni ancora, ma se voi lo considerate opportuno, sarò pronta a prendere marito. So che terrete in considerazione il bene di vostra figlia e che saprete consigliarmi nella scelta.
Teuto: ( abbraccia la figlia) Non temere, gli dèi ci proteggono. Avanti! C’è molto da organizzare ancora!
Teuto esce
Regina: (accarezzando la figlia). Sii felice Etna, non sono in molti i padri che concedono tanta libertà. Faremo in modo che tu possa essere soddisfatta del tuo futuro marito. Io ti sarò accanto.
Etna: Grazie madre. Ho molta fiducia in entrambi.
Regina esce
SCENA III
Etna si siede, mentre la Nutrice si volta dando le spalle al pubblico e inizia a singhiozzare via via sempe più forte.
Etna : Balia, perché piangi? Cos’hai?
Balia: Scuote la testa.
Etna: Parla Balia!
Balia: La mia bambina sta per sposarsi!
Etna: E ti dispiace tanto?
Balia annuisce.
Etna: Perché?
Balia: Non sarà più la stessa cosa.
Etna: Ma tu potrai continuare a starmi accanto. Lo chiederò io a mio padre.
Balia: E se fosse un uomo cattivo?
Etna: Mio padre?
Balia: No! Il vostro sposo! Potrebbe farvi del male, trattarvi con cattiveria.
Etna: Farmi del male? Mio padre non lo permetterebbe!
Balia: Bambina, bambina. Non sapete ancora molto del mondo.
Etna. È vero.
Balia piange.
Etna: Balia … e se invece non mi amasse e mi trattasse con indifferenza?
Balia: Sarebbe un pazzo! E proprio questo temo: i pazzi! Sarebbe più facile il contrario.
Etna: Che io non lo amassi? Non ci avevo pensato. Che dovrei fare allora?
Balia: Dovrete imparare ad amarlo.
Etna: Balia, i miei genitori si amano e rispettano. Non dovrebbe essere così difficile sposare qualcuno.
Balia: Il re Teuto ha scelto personalmente vostra madre. Quando la vide se ne innamorò. Loro sono stati fortunati. Gli dèi li hanno assistiti.
Etna: Perché gli dèi non dovrebbero assistere anche me?
Balia: Prego sempre gli dèi per questo!
Etna: Ero già preparata a questo giorno, anche io li prego da molto tempo. Balia, è molto triste dovere sposare un uomo prima di poterlo conoscere.
Balia: Lo è.
Etna: Eppure, non so perché, ho come un buon presentimento. Sento che potrei incontrare un uomo generoso e bello e innamorarmene.
Balia: Ma chissà se potrete sposarlo!
Etna: Perché parlate così? Adesso non so più se piangere o essere felice.
Balia: Io voglio piangere.
Etna: Ed io essere felice. E lo sarò. Gli dèi mi infondono fiducia.
SCENA IV : FALARIDE
VCF : Ad Agrigento intanto un temibile tiranno stava concentrando tutto il suo ingegno allo scopo di risolvere una grave questione. Dopo avere dilapidato le grandi ricchezze della sua città, si arrabattava ora allo scopo di trovare un modo per rimpinguare le casse dello stato. Il suo nome era Falaride e sarebbe passato alla storia come il più crudele fra i tiranni dell’isola.
Falaride: Che gli dèi se li portino! Tutti: dal primo dei miei consiglieri, all’ultimo dei cittadini! Tutti loro con le loro esigenze, fabbisogni, desideri, sciocche richieste.
E io ad accontentarli tutti. I principi viziati e la gente. Tutti vogliono qualcosa in cambio del loro consenso!
È facile governare indisturbati quando si comprendono i più intimi desideri degli uomini. L’avarizia e l’ambizione muovono i grandi, la sazietà e i divertimenti interessano al popolo. E io questo ho dato loro. La guerra nutriva l’esercito, gli aristocratici e il popolo; la corruzione alimenta il silenzio; la costruzione di templi magnifici, la proclamazione di giochi annuali, la distribuzione di frumento e grano ha accontentato il popolo e reso la figura di un tiranno tanto amabile! E Agrigento! Ah, Agrigento! Quanto ha tratto vantaggio da tutto questo? Mai ci fu una città tanto bella e temuta! La migliore! E il popolo mi ama per questo.
Ma quanto ancora durerà questa apparente gioia? Per quanto ancora il popolo e i consiglieri gradiranno la mia presenza?
Pausa di riflessione. Andirivieni per la stanza, si alza, siede, gioca con dei fogli sul tavolo (a preferenza dell’attore)
Quel re, Teuto, una volta mi disse che i tiranni non vivono a lungo una vita felice … Ma allora ero troppo giovane e orgoglioso per crederlo …
Ora so che la corruzione si alimenta con la corruzione e che il consenso comprato una volta lo si compra per sempre!
Per quanto ancora il popolo accetterà di essere tassato? Le casse dello Stato non reggeranno ancora a lungo. Le tasse sono state aumentate di recente e i miei uomini sconsigliano di tassare ancora i cittadini.
Eppure è necessario trovare altro denaro che alimenti la mia magnifica e costosa politica! Una volta finiti i divertimenti e i premi, sarà finita anche per me!
SCENA IV
Giunge un araldo recante una pergamena contenente l’ annuncio del matrimonio.
Araldo: Mio signore!
Falaride: Sciocco! Chi ti ha fatto entrare? Mi interrompi in un momento tanto importante!
Araldo: Vogliate scusarmi. Vado via!
Falaride: Dove vai, stupido , impertinente araldo? Già che sei qua, leggi.
Araldo: Mio signore, giungo da Innessa e porto un annuncio a nome del Re Teuto.
Falaride: Ah! Ma guarda un po’, si parlava giusto di lui.
Araldo: Non vedo nessuno qui. Con chi ne parlava?
Falaride: Limitati a compiere il tuo dovere o ti farò giustiziare per la tua insolenza.
Araldo: Ambasciator non porta pena!
Falaride (urlando) : Leggi!!
Araldo (intimorito): A tutti i Re, Principi, Signori della Sicilia, patria abitata da giusti Dèi, si annuncia che la figlia del Re Teuto ha raggiunto l’età adatta al matrimonio e si invitano costoro a farsi avanti. A coloro che faranno visita alla futura sovrana, verrà concessa la migliore ospitalità e a colui che si dimostrerà il più degno tra i pretendenti, sarà offerta una città, un territorio e l’affetto di un’ottima moglie e di una famiglia.
Falaride (tra sé e sé) : Questa potrebbe essere una buona idea. Un matrimonio! Sono ancora un bell’uomo, malgrado l’età! Pieno di fascino e carisma!
(Si accorge dell’araldo che in quel momento fa una smorfia di dissenso.) E tu sei ancora qui? Che aspetti ad andartene?
Araldo: Cosa devo mandare a dire al Re Teuto?
Falaride: Avrai la risposta al più presto. Per ora va. Le ancelle ti serviranno al meglio.
Araldo fa un lieve inchino ed esce
Falaride: Che dicevo? Ah già, il matrimonio! … Eppure il padre non acconsentirà mai. I tiranni sono invisi ai principi sikuli. Loro non amano affatto la destrezza e l’abilità con le quali noi, tiranni, arriviamo a guadagnarci il potere. Intrighi, tradimenti li chiamano loro! Astuzia la chiamo io! A che serve aspettare, come fanno loro, di ascendere al potere per acclamazione del popolo? Oh, ma loro credono di essere una stirpe eletta dagli dèi, uomini virtuosi, si credono loro! …
Ebbene, in qualche modo avrò tra le mani quegli ori. Non so ancora come farò, ma ci riuscirò. Quando mi ripropongo qualcosa, la ottengo.
SCENA VI L’ARRIVO IN CITTÀ DEI CATANESI.
Esterno, la città.
Leonida, Etna, nutrice.
Primo catanese: Amici carissimi, siamo giunti nella città del re Teuto. Qui ci attende la sua bella figlia. Forza, prendiamo i doni e rechiamoci a far visita alla famiglia del re.
Secondo Catanese: Amici miei, vi ricordo che da questo momento siamo anche rivali!
Terzo catanese: Rivali, ma non nemici. Le famiglie aristocratiche della democratica Catania hanno scelto noi, i migliori giovani uomini della città, in rappresentanza della nostra città. Basterà che uno di noi conquisti Etna affinché tutta la città ne goda.
Primo catanese: Mettiamo da parte ogni tipo di odio fra di noi, dunque.
Secondo Catanese: Nessun odio per il vincitore. Spero che manteniate la promessa quando vincerò io.
Terzo catanese: E tu perché sei così silenzioso, caro Leonida?
Leonida: Non c’è niente che mi renderebbe più felice che il portare onore alla nostra amata Catania, alle nostre famiglie e al nostro popolo. Tuttavia, l’onore che ci è stato concesso mi pare davvero gravoso. Se avrò la fortuna di essere scelto quale sposo della figlia Etna dal re Teuto, spero di trovare nella principessa una creatura amabile e bella. Se così non fosse, non me ne vogliate, ma preferisco lasciare a voi questo grande onore.
Primo c: Saresti pronto a tirarti indietro davanti alla decisione di un re? Condanneresti tutti a morte!
Leonida: Allora sarò io ad essere condannato! Condannato ad una vita infelice!
Secondo c: Infelice? Innessa è una città ricca e pacifica, che infelicità potrebbe derivarne? Non temete amici, se Leonida si dimostrerà tanto sciocco da rifiutare un tale dono, io mi dimostrerò pronto ad accoglierlo.
Etna è poco distante, con la balia si aggira tra i mercati in cerca di tessuti. Per caso ha ascoltato la conversazione dei giovani catanesi.
Etna: Dunque loro sono pretendenti provenienti da Catania. Mi sono già fatta un’idea su di loro.
Balia: Lo sapevo io, questi matrimoni attraggono sempre uomini in cerca di ricchezze! Povera cara, quale triste destino il tuo!
Etna: Eppure, non è detta l’ultima parola. Hai ascoltato quel giovane, Leonida?
Balia: Sì, mia cara, ho sentito. E ho visto. È proprio un bel giovane. Forse non è come tutti gli altri. Potresti essere fortunata se sposassi lui.
Etna: Ma come fare ad essere certa della sua buona fede?
Balia: Mia bella Etna, la dea è bendata, per cui qualche volta occorre prenderla per mano. Guarda, il giovane Leonida prende congedo dalla sua compagnia. Ascoltami bene ti dirò io cosa fare.
SCENA VI – CONFRONTO DI LEONIDA ED ETNA
Terzo C: Bene Leonida, noi ci avviamo verso la reggia di Teuto. Non fare tardi.
I compagni si allontanano accompagnati dai servi che trasportano i doni. Leonida fa un cenno con la mano per salutare i compagni e inizia a passeggiare. La piazza brulica di persone e rivenditori. Si avvicina Etna.
Etna: Il signore ha un’aria abbattuta, gradite dei fiori da portare alla vostra bella moglie?
Leonida: No grazie … (la guarda meglio, pare ripensarci) e sia, datemi questi fiori. (le porge delle monete).
Etna: Considerateli un dono, riponete le vostre monete.
Leonida: Siete una bella e gentile fioraia. Vi ringrazio.
Etna: Sarei felice se solo voleste dirmi cosa vi turba. Forse potrei esservi d’aiuto.
Leonida: Visto che siete tanto cortese con me, ne approfitterò. Vedete, vengo dalla democratica Catania, la mia famiglia desidera che io incontri la principessa e spera che lei possa diventare la mia sposa.
Etna: Sarebbe davvero un grande onore.
Leonida: Sì, è così… ma vedete, prender moglie senza conoscerla è un gran bel rischio!
Etna: Parlate proprio da uomo. Credete che per la principessa sia tanto più piacevole? Una donna sogna solo di trovare un uomo adatto a lei. Ma in quanto principessa ha da valutare tante altre cose, il bene del popolo per fare un esempio, deve valutare con attenzione le aspirazioni dei pretendenti e assicurarsi che non siano uomini venali. Infine deve rimettersi al parere del re e sperare che il suo giudizio coincida con il proprio.
Leonida: Avete ragione, la difficoltà sta da entrambi i lati.
Etna: Ad ogni modo, parlate come se foste già promessi sposi. Siete voi il fortunato?
Leonida: No, non sono io. Sono ancora libero.
Etna: Libero? Se è una tale costrizione per voi, siete ancora in tempo a tornare indietro e lasciare il posto ad altri. Con permesso (fa per andare).
Leonida: Bella fioraia, dove andate? Perché ve la prendete tanto per delle parole che non vi toccano?
Etna: Mi toccano, invece. È della mia futura regina che parlate! E ne parlate pur senza conoscerla.
Leonida: Le siete fedele, dunque deve essere una buona principessa.
Etna: Il padre le ha dato degli ottimi precettori.
Leonida: Ditemi … (le fa cenno di accomodarsi su di una panchina o muretto)… Che uomo è il re?
Etna: Oh! È un re giusto, autorevole, severo eppure buono. Vi assicuro che non ha mai operato contro il suo stesso popolo. È pio e devoto al dio Adrano
Leonida: Nella mia città non esistono più i re. È il popolo a regnare, guidato dalle famiglie migliori.
Etna: Sono a conoscenza dell’esistenza delle città democratiche. Il Re Teuto ha concesso ad alcune di loro di reggersi secondo questo istituto. Ma parlatemene meglio, un’umile fioraia non conosce queste cose. Vi sono delle famiglie che di fatto reggono il potere?
Leonida: No, le famiglie sono delle guide, esecutori del potere, ma è il popolo a detenere il vero potere.
Etna: In che modo?
Leonida: facendo sentire la propria voce durante le assemblee. Ma ditemi invece, la figlia del re è bella?
Etna: Dicono che sia piuttosto bella …. e anche virtuosa. È istruita e forse anche intelligente.
Leonida: Di solito questo è quel che si dice di una ragazza per nulla graziosa ma di buona famiglia e forse di buon cuore.
Etna: E il buon cuore non è già una grande virtù? Cercate solo la bellezza in una donna? Ebbene … giudicherete voi stesso.
Leonida: Vi prenderò in parola se risponderete a questa domanda: è bella quanto lo siete voi?
Etna: Non so se sono bella, ma dicono che le somigli un po’.
Leonida: Un po’ sarebbe già più che sufficiente. Se solo vi somigliasse quel po’ di cui dite, potrei sposarla.
Etna: Dunque è così. Preferite la bellezza al buon cuore e una donna ricca ad una forse più bella ma povera?
Leonida: Allora è vero che voi siete più bella?
Etna: Siete abile a sviare i discorsi. Ma ditemi, voi che requisiti avete per pretendere di chiedere in sposa la figlia di Teuto?
Leonida: Sono catanese e provengo da una famiglia aristocratica.
Etna: Sono tutti nobili. E tra questi ve ne sono alcuni che possiedono ricchezze immense.
Leonida: Forse. Ma ve ne sono altri belli quanto me?
Etna: Forse no. Di certo mai tanto superbi.
Leonida: Superbo? Sono solo sicuro di me e delle mie buone qualità. Sono stato cresciuto secondo buoni principi, sono stato istruito dai migliori precettori, dando peso egualmente al corpo e allo spirito. Non sono uno scansafatiche.
Etna: I rampolli delle più nobili famiglie sono sempre un po’ scansafatiche.
Leonida: L’arte della guerra nel mio paese è praticata indistintamente da tutti gli uomini.
Etna: E dunque amate la guerra! Siete bellicoso, forse scontroso e propenso alle risse.
Leonida: Quali pregiudizi vi portate dietro, mia cara fioraia! Conoscere la guerra non vuol dire amarla, ma impararne i segreti è utile e vuol dire anche prevenirla.
Etna: Non posso negarlo … parlate con saggezza.
Leonida: Allora sono anche saggio! Me ne ricorderò quando parlerò in presenza del re Teuto.
Etna: Siete ora convinto di sposare la principessa?
Leonida: Prima lo ero poco e ora lo sono anche di meno. Due stelle hanno rapito il mio cuore.
Etna: Mio signore è ancora giorno, non si vede alcuna stella in cielo.
Leonida: Io le vedo. Sono qui davanti a me e posso scorgere il mio viso riflettersi in esse.
Etna: (sposta lo sguardo imbarazzata) Parlate così ad ogni donna che incontrate?
Leonida: Tra le poche donne alle quali ho dedicato qualche parola dolce solo due donne hanno avuto l’onore di ricevere parole tanto piene d’amore.
Etna: Chi, se posso chiedere?
Leonida: Una era mia madre, ma vi assicuro che non è lo stesso sentimento …
Etna: questo vostro atteggiamento mi fa dubitare del vostro buon cuore.
Leonida: Non sia mai! Credetemi, rinuncio alla principessa se voi lo vorrete. Confessatemi il vostro nome e donatemi il vostro cuore!
Etna: Non avevate dei doveri nei confronti del vostro paese e della vostra famiglia? Non è per loro che vi recate in visita dalla principessa?
Leonida: Non lo nego..
Etna: Eccoci in presenza di un terribile difetto! Siete un uomo di poco valore se non rispettate i vostri doveri.
Leonida: Così mi confondete. Io sento già di amarvi. Ditemi chiaramente se corrispondete i miei sentimenti o no.
Etna: Mio caro amico, sono una povera fioraia, cosa volete che ne sappia io di queste cose?
Leonida: Non conosce una fioraia l’amore?
Etna: Andate, mio buon signore, è stato bello conoscervi e parlare con voi. Spero di rivedervi presto e mi auguro che per quell’occasione voi abbiate sposato la principessa.
Etna si allontana lasciando Leonida stupito e affranto. Raggiunge la balia che l’aspetta poco distante.
Etna: Oh, Balia! La mia prima impressione si è rivelata esatta! So già chi sposerò! Spero solo che si presenti al cospetto di mio padre e che i miei modi di fare non lo abbiano ferito troppo. Ma se è vero ciò che mi ha detto, capirà e non mi disprezzerà per la prova che l’ho costretto ad affrontare!
Etna e la balia escono.
Leonida: Che triste sorte! Gli dèi devono proprio essere invidiosi di noi mortali se mi hanno fatto incontrare una donna tanto bella e intelligente e nello stesso giorno mi hanno costretto ad abbandonarla! Aveva uno sguardo così dolce, degli occhi tanto luminosi ed un sorriso splendido! Eppure era anche tanto sagace e possedeva un guizzo che la rendeva davvero particolare! Era solo un’umile fioraia eppure aveva un contegno fiero, degno di una regina! Quale educazione avrà avuto per parlare così e tenermi testa? Ha ragione in fondo, sono qui per compiere dei doveri nei confronti della mia famiglia e delle città che mi ha scelto fra tanti aspiranti.
Era lei la donna adatta a me, sebbene appartenente ad una classe sociale più bassa! Ma la nobiltà non deriva forse dalle virtù? Lei era una nobile, ne sono certo. Ora dovrò accontentarmi di quel che verrà.
Suvvia, dalla principessa. A confronto con la bella fioraia, quell’altra mi sembrerà una popolana!
SCENA VI: FALARIDE. IL PIANO
Falaride, Eunuco, Consigliere.
Falaride: (come continuando un discorso già iniziato) Per cui come agire? So l’opinione che hanno di me i principi siculi, so quanto gli siano invisi i tiranni. Mai accetteranno di imparentarsi con me, un tiranno. Ma poi, è proprio vero quanto si dice sul suo regno? che la sua città sì, quella Innessa, sia la più ricca tra le città etnee? Se è vero quanto si favoleggia, a noi quegli ori stanno a cuore. È certo che mai Teuto lascerà che io sposi sua figlia. È certo anche che dell’oro ho bisogno! Devo completare ancora il Tempio della Concordia che è il simbolo che sancisce l’idillio tra me e il popolo. Degli aristocratici posso pure curarmene poco se ho il popolo dalla mia. Sono dei democratici quegli aristocratici, cocciuti e caparbi. Non accetteranno mai la tirannide. Il popolo, quello devo ingraziarmi.
Eunuco: Mio signore Innessa è protetta da mura di fortificazione tali che nessun tiranno greco ha mai osato attaccarla frontalmente. Le sue mura sono inespugnabili come quelle di Troia e se quelle furono costruite dagli dèi queste furono costruite dai loro figli, i Ciclopi. Le nostre macchine da guerra, gli arieti, le torri, nulla potrebbero contro quelle inamovibili pietre. Nessun assedio potrebbe metterla in ginocchio poiché hanno acque sorgive al loro interno e granai ripieni. Non ci fu mai un nome più adatto di Innessa, se è vero che in lingua sicula significa “il cibo dentro le viscere della terra”, poiché i frutti e il grano crescono spontaneamente senza grandi sforzi. Ancor di più è vero dopo le recenti opere di bonifica nei pressi del fiume Simeto, che Teuto ha appena completato. È dunque ben fortificata e rifornita di tutto punto. Una guerra nelle nostre condizioni? Sarebbe una rovina! Per raggiungerla dovremmo attraversare i territori siculi a noi ostili, per mantenere l’esercito avete bisogno di denaro, la distanza che ci separa è notevole. Provate a tassare il popolo ancora un po’ e avrete una sommossa popolare!
Consigliere: Mmm … mmm (rimugina fra sé e sé, si gratta la testa, va avanti e indietro. Infine con uno scatto improvviso si gira verso il tiranno). Mio signore, il cavallo di Troia …
Falaride: Ma è un trucco troppo vecchio! Sii un po’ più originale.
Consigliere: No mio Signore …. Intendo dire che potremmo risolvere la questione facendo ricorso ad un imbroglio, un inganno, come fecero gli Achei con il cavallo di Troia!
Falaride: Ora ti spieghi bene! Non è una cattiva idea. Hai già qualcosa in mente?
Consigliere: Certo mio signore! E l’occasione la fornisce Teuto in un piatto d’argento.
Falaride: Tu dici?
Consigliere: Teuto non sta forse preparando un faraonico matrimonio per la sua unica figlia? Ebbene …
Eunuco: (lo interrompe) Abbiamo detto che a noi le donne non piacciono.
Falaride rivolge un’ occhiataccia all’ Eunuco.
Eunuco: (intimorito) Ovviamente volevo dire che … non siamo interessati al matrimonio.
Consigliere: Infatti non dobbiamo sposare nessuno. Né possiamo presentarci di persona. La presenza del nostro signore non sarebbe ben accetta – sua eccellenza mi perdoni (fa un inchino a Falaride) – nelle libere città sicule. Ma i siculi sono gente ben educata e non rifiuterebbero dei doni diretti alla sposa, anche qualora provenissero – (fa un inchino diretto a Falaride) il mio signore mi perdoni – da un Tiranno. (pronuncia la parola “tiranno” evidenziandola bene, con una lievissima sfumatura di sarcasmo. )
Falaride: (Smorfie al sentire pronunciare la parola “tiranno”) Emh … Beh …. Vai al sodo. Parlaci di questo inganno.
Consigliere: La vita del mio signore è troppo preziosa per barcamenarci in una guerra aperta, pertanto sarà sufficiente una retata, veloce, sicura, indolore. Una retata mirata all’erario della città. Caricato il forziere su una veloce biga si rientra subito ad Agrigento.
Falaride: Tu ti prendi gioco di me. Cominci dalla fine, sembra che il tesoro sia già nei miei forzieri, ma non dici come sia possibile introdursi in una città così ben fortificata, come abbattere le ciclopiche mura o sfondare le grandi porte di bronzo, come eliminare le sentinelle vigili sulle torri che dominano la valle del Simeto … da quella rocca si vede muoversi una pulce già fin da Siracusa. Non vorrai renderti invisibile?
Consigliere: Esatto mio signore.
Falaride ed Eunuco (scambiano sguardi stupiti e ripetono ad una voce) Invisibili?
Consigliere: Di più! Ci renderemo amici, ospiti. Mi spiego meglio. Un araldo annuncerà che dieci bighe provenienti da Agrigento, intendono introdurre i numerosissimi doni che Falaride, signore di quella città, invia quale dono di nozze alla più bella principessa sicula, rammaricandosi che egli, già anziano, non possa gareggiare con i giovani pretendenti alla sua mano né proporre suo figlio, troppo giovane. Non avendo che invidiare il giovane fortunato che sarà degno marito di Etna si contenta di farle recapitare i doni, simbolo dell’amicizia che le offre. I doni saranno consegnati certamente dalle matrone, ben più rassicuranti dei soldati.
Eunuco: Delle matrone dovrebbero compiere un furto nell’erario cittadino? Delle donne? Ma che piano è mai questo?! Vi conviene rivederlo da capo.
Falaride: (che ha già compreso) Tu sottovaluti le donne d’oggi! Ma dagli il tempo di spiegare.
Consigliere: (infastidito dalle continue interruzioni dell’Eunuco) Grazie mio signore. Le matrone non saranno altro che giovanissimi ed imberbi guerrieri, scelti tra i migliori. Sotto le vesti porteranno le armi. Faremo in modo che arrivino in città verso il tramonto. La penombra nasconderà meglio il travestimento. Una volta entrati, consegneranno le casse e dopo avranno tutto il tempo per studiare la città. In mezzo alla folla nessuno si accorgerà di loro. In piena notte forzeranno l’erario e prese le casse con i tesori faranno veloce ritorno in patria.
Falaride: Mi piace. Qualcosa mi dice che passeremo alla storia.
ATTO II
SCENA I SFILATA DEI PRINCIPI.
Teuto, Moglie, Etna, Nutrice,principi, Leonida
Teuto è seduto su di un trono, a fianco la moglie e la figlia. I principi sfilano ad uno ad uno portando dei doni.
Pretendente 1: Sono Arcade di Creta. Re Teuto, per omaggiare voi e la principessa vi faccio dono degli ori e delle ceramiche del mio ricco regno, animato da mille commerci, sicuro punto di approdo per ogni nave che giunga dai luoghi più lontani. Non abbiamo costruito mura per difenderci. Infatti siamo amanti della pace e il nostro buon nome non ci procura nemici, ma solo alleati e amici. Non in guerra ma in pace abbiamo costruito le nostre fortune.
Teuto: Conosco vostro padre, è un uomo saggio e un fedele alleato di Innessa. La Sicilia offrì una dimora sicura ai reduci di Troia che smarrirono la via del ritorno, pertanto conosciamo la vostra civiltà e vincoli di ospitalità ci uniscono. Sarei felice se mia figlia si unisse a un giovane come voi. Ma ci sono ancora molti uomini, di nobili natali, che vorrebbero presentarsi ed è bene dare a tutti la possibilità di farlo, affinché la scelta sia più sicura.
Teuto fa un cenno. Il principe si congeda.
Balia: (Ad Etna, sottovoce.) Pare proprio un bel giovanotto! Che ne dite? Ma guardate questo che si avvicina! Quanto è brutto! Guardatelo mentre si pavoneggia!
Pretendente 2: Ottimo Re Teuto! Ricorderete di certo anche il mio venerando padre! Ormai da tempo ha raggiunto gli dèi, seguito subito dopo dal mio unico fratello, e io sono rimasto il solo a reggere le sorti del mio regno! Non è molto vasto, è vero, ma sapete bene quanto sia ricco di ogni bene! Distese di grano del colore dell’oro e frutti dolci e dissetanti. Per darvene una prova ho voluto portarvene in gran quantità. (Prende qualche frutto e li porge alla Regina, a Teuto e ad Etna).
Teuto: Ricordo sia il vostro nobile padre sia il vostro eroico fratello. Uomini valorosi, nostri alleati in più d’una guerra contro gli irriducibili Cartaginesi. Mi auguro che voi abbiate ereditato da loro il coraggio e l’onore oltre che il regno. Il tempo ce ne darà una prova. (Gesto di congedo.)
Balia: Non credo voi vogliate sposare un uomo tanto egocentrico e pomposo! Stiate serena, non pare piacere nemmeno a vostro padre. Vediamo un po’ chi si presenta ora… Che prestanza fisica!! Veste alla maniera dei soldati, e una cicatrice taglia un sopracciglio. Ha un’aria dura, ma non è affatto male. Un uomo di carattere, vigoroso! È così che dev’essere un uomo, fossi giovane e bella come voi non me lo farei scappare.
Pretendente 3: (con fare arrogante e bellicoso) Re Teuto, i nostri due regni a lungo sono stati nemici. Io stesso, quando mio padre non ebbe più la forza per reggere le armi in campo, ho condotto l’esercito di Siracusa contro il vostro. Ma ora sono qui in una nuova veste. Oggi non ho intenzione di dichiarare guerra, ma solo di ricomporre la pace e renderla più duratura per mezzo del vincolo del matrimonio. Sapete quanto sia potente il mio regno, quanto forte il mio esercito. Le nostre navi salpano per i mari più lontani, sono veloci, sicure e mai tornano vuote. Se mi concederete vostra figlia avrete in me un valido alleato, nel mio esercito mille braccia pronte a difendervi da ogni pericolo. I nostri regni saranno infine unificati sotto la vostra benedizione.
Teuto: So bene quanto sia potente il vostro esercito, la vostra flotta è ineguagliabile nei commerci così come nelle pratiche belliche. Mi auguro che un eventuale rifiuto non si trasformi nella causa che potrebbe spingerci a nuove ostilità. Vi ricordo, mio caro Re Kratos, i termini del trattato di pace che siamo entrambi tenuti a rispettare.
Pretendente 3 : Non potrei dimenticarmene, temo ancora molto gli dèi per divenire uno spergiuro. (Gesto di congedo rivolto alla Regina ed Etna. Più intenso nei confronti di quest’ultima. La considera già sua moglie).
Balia: Che insolenza! Ha posato il suo sguardo su di voi troppo a lungo e con un’ intensità che non si addice al luogo o alla vostra persona! Questo è un uomo abituato a prendere senza fare troppi complimenti. C’è da stare in allarme. E vostro padre lo ha ben capito. Gli è piaciuto ancor meno del precedente. E quello chi è? Pare una donna, guardatelo, i suoi abiti e il suo aspetto sono più curati del vostro. Se vi vedessi assieme non saprei dire quale dei due sia l’uomo.
Pretendente 4 (consegna i doni, tra questi stoffe lussuose e pregiate.)
Entra Leonida un po’ titubante ma deciso a compiere il suo dovere. È raggiunto dagli altri catanesi i quali indicano Etna.
Leonida: Com’è triste la mia sorte! Eppure devo rassegnarmi e svolgere il mio dovere di uomo, figlio e cittadino.
Catanese 1: Eccoti infine! è davvero la bellezza che si dice essere. Guardatela, è proprio lì.
Leonida: Questo mi consola poco … non vedrò più occhi come quelli …
Catanese 1: Sei davvero strano oggi! Ma che ti prende? Solleva lo sguardo. È lei la nostra principessa.
Leonida: Che gli dèi mi assistano! Non posso proprio crederci! È o non è lei? La bella fioraia! Mi ha ingannato? Mi avrà messo alla prova?
Pretendente 4 : … Per la Regina e per la Principessa ho dunque portato queste stoffe ricamate in oro. Si addicono alla loro bellezza. In più mia madre si riserva di portare i suoi personali saluti alla Regina, la cara cugina, e spera di rivederla presto, magari durante un lieto evento.
Regina: La ricordo sempre con affetto. Ditele pure che non serve aspettare grandi cerimonie per rivedersi. La incontrerei con molto piacere in qualsiasi momento. Vorrei inoltre che le faceste avere dei doni che mi occuperò di scegliere personalmente, affinché siano il simbolo della profonda amicizia che ci lega.
SCENA II: RICONOSCIMENTO
I Catanesi avanzano in gruppo. La balia sussurra qualcosa all’orecchio di Etna, quest’ultima la guarda significativamente.
Primo Catanese: Ottimo Re Teuto, veniamo dalla vicina Catania, la Democratica. Non possiamo vantarci del titolo di principi o di re, perché ormai da tempo non esistono più nella nostra città. Dunque, siamo giunti in gruppo quali rappresentanti delle migliori famiglie della città, affinché nessuno primeggiasse sull’altro ingiustamente.
Leonida: In gruppo dunque vi consegniamo i doni non a nome dei singoli, ma a nome della nostra città, la quale, come una madre che non vede differenze tra i figli quando questi sono tutti pieni di virtù, ci invia qui tutti assieme e affida alla principessa il compito di giudicare quale sia il più degno dei mariti.
Terzo Catanese: Non siamo principi, ma non temiamo la concorrenza poiché i meriti delle nostre famiglie e le nostre virtù bastano a renderci simili a dei principi.
Secondo Catanese: Siamo certi che la principessa troverà fra di noi il marito che cerca.
Teuto: Cari figlioli, ammiro il modo in cui vi siete presentati, privi di qualsiasi timore, consapevoli del vostro valore. Sappiate che l’opinione di mia figlia avrà grande valore e influenzerà di certo il mio giudizio. Un padre vuole solo il meglio per i figli, tanto più se è del loro futuro che si parla. Per mia figlia desidero un futuro pieno di prosperità e di felicità. L’uomo che sposerà dovrà portare onore alla famiglia ed essere egli stesso virtuoso e giusto. A loro assegnerò terre e alla mia morte il regno, che dovrà essere gestito con saggezza, coraggio e valore militare, affinché nessun abitante di queste terre debba mai soffrire la fame o patire le umiliazioni derivanti da una gestione dello stato inefficiente, infruttuosa e condotta senza la benedizione degli dèi. Tutto ciò deve essere considerato e in base a ciò verrà scelto l’uomo che sposerà Etna. Vi parlo così poiché sono convinto che tutto debba essere condotto con trasparenza.
Adesso lasciateci il tempo di scegliere con calma. Comportatevi come se questa fosse la vostra dimora.
Etna: Padre, hai detto che tutto deve essere condotto con trasparenza, dunque permettimi di parlare adesso e liberamente, davanti a tutti. Devo confessare che ho già fatto la mia scelta. Ho avuto la possibilità di parlare con un pretendente questa mattina in città. Sebbene tutti si siano dimostrati dei degni pretendenti, è a lui che va la mia preferenza e poiché un breve incontro è bastato a farmene innamorare, vi chiedo di acconsentire, padre, sempre che, il giovane Leonida sia d’accordo.
Teuto: Leonida, fatti avanti. È vero ciò che dice mia figlia.
Leonida: Sì, è vero. Mio re, potrebbe sembrare un modo per accattivarmi le vostre simpatie, ma devo confessare la mia felicità nel ritrovarla a corte e scoprire in lei la donna che ho incontrato questa mattina. Ciò mi rende felice e infelice, perché, ora che l’ho ritrovata, non potrei sopportare di perderla.
Teuto: Terrò in considerazione le tue parole, ma non voglio ancora pronunciarmi. Ora ritiriamoci nei nostri appartamenti e lasciamo che i nostri ospiti si intrattengano nei modi che più preferiscono. Conferirò con loro singolarmente.
SCENA III: ARRIVO DELLE MATRONE IN CITTÀ
3 Matrone con numerosi carri pieni d’oro e schiavi, 2 soldati di fronte alle porte della città.
Matrona I: (sistemandosi l’abito) Insomma!! Che fastidio questo travestimento!!
Matrona 2: Eppure ti dona molto, ah ah ah…….
Matrona I colpisce Matrona 2
Matrona 1: Forse non hai avuto il tempo di guardarti allo specchio!
Matrona 3: Silenzio! Arrivano le guardie. Comportatevi (con lieve imbarazzo) … da donne.
Soldato 1 serio: Cosa ci fanno delle matrone alle porte della città al tramonto e senza scorta?
Matrona 3: (Fa la vezzosa) Uh, mio buon amico, veniamo da Agrigento e portiamo dei doni da parte del nostro signore Falaride alla principessa Etna, in occasione del suo matrimonio.
Matrone assieme (facendo un inchino e ripetendo come se avessero imparato la formula a memoria, magari accompagnando con dei gesti e con dei grossi sorrisi.) Il nostro ottimo Signore Falaride di Agrigento, Tiranno di nome ma non di fatto. Ha risvegliato la città e l’ha resa ricca, ha concesso felicità al popolo e combattuto contro i nobili egoisti.
Soldato 1. Bene, la vostra presenza era stata annunciata. Dov’è la vostra scorta? Signora, mantenete le distanze.
Matrona 3: Uh uh, scusatemi … avete proprio un grazioso visetto però.
Matrona 1: Il nostro Signore non voleva indisporre il Re Teuto inviando assieme a noi uomini in armi. Ha espressamente vietato loro di entrare nella città. Si accamperanno fuori e passeranno la notte distanti da qui.
Soldato 1 e 2 si guardano indecisi sul da farsi
Matrona 2: Ma noi siamo solo delle povere donne, sono certa che il Re Teuto vorrà offrirci riparo! Conosciamo la sua fama di buon ospite! Fa le moine ai soldati
Soldato 2: Certo, ovviamente riceverete la migliore delle ospitalità. Adesso seguiteci. Com’è uso condurremo i doni presso l’erario della città e dopo vi scorteremo fino a palazzo dove troverete qualcuno pronto ad accogliervi.
I soldati fanno strada. Le matrone seguono. Gli schiavi dietro guidano le bighe.
Matrona 1 (diretta a Matrona 3 sotto voce): Tua madre sarebbe lieta di vedere che bella figliola ha partorito. “Avete proprio un grazioso visetto!”
Matrona 3: Sto cercando di recitare al meglio il mio ruolo!
Matrona 2: Ti riesce davvero naturale!
Matrona 3 colpisce entrambi gli amici. I soldati si voltano a guardarle e le matrone si ricompongono e sorridono con fare vezzoso
SCENA IV.
Teuto, Regina, Etna, Leonida passeggiano presso un giardino.
Teuto : Ho già conferito con tutti i pretendenti. Non rimani che tu Leonida di Catania. A te voglio dedicare più tempo dato che mia figlia ha manifestato per te una particolare attrazione. Ho intenzione di parlarti liberamente come si parla ad un figlio. Non voglio ingannarti, chi ti ha preceduto è certamente più ricco e più potente di te.
Leonida: Ne sono consapevole.
Teuto: Sono fattori che influenzano molto la scelta di chi vuole apportare benessere e ricchezza al proprio regno. Eppure questo non è che un aspetto. Non è la ricchezza a fare di un uomo un re. Un re è tale quando ha le virtù necessarie per guidare un popolo. Il benessere personale non è un punto di partenza ma di arrivo. Se il re è abile nelle azioni di governo, se conduce la sua vita con sobrietà e non sperpera ma invece incrementa le risorse del regno per mezzo di una buona politica, il regno prospera, il popolo non vive nella miseria ed è sereno. Se il re è giusto in tempi di pace e di guerra, il popolo è felice. La ricchezza di un re non si misura solo in oro. Certo è vero che l’oro rende tutto più facile, ma non bisogna mai considerarlo essenziale. Conosco re che hanno sconvolto la serenità del proprio popolo per condurre una politica di munificenza volta ad ingraziarsi il consenso generale. Ma è una strada pericolosa questa che hanno intrapreso. Da un momento all’altro tutto potrebbe cambiare.
Leonida: Catania non ha re, ma le vostre parole sono vere e può ben comprenderle anche chi proviene da una realtà come la mia. Le famiglie aristocratiche che guidano la città con il consenso del popolo collaborano affinché la giustizia e la pace siano preservate.
Teuto: Mia figlia mi ha confessato il piccolo inganno di cui si è resa arbitro. Perdonatela se potete.
Leonida: È così mio Re. Tanto mi aveva incantato quella fioraia che sono stato vicino a non presentarmi a corte, ma il dovere nei confronti della mia città e della mia famiglia mi ha riportato sulla giusta strada. Non ho nulla da perdonare, non la biasimo per come ha agito.
Teuto: Mi ha anche detto che avete esperienza militare.
Leonida: Sì. L’educazione di ogni catanese, specialmente se di famiglia aristocratica, prevede l’addestramento militare, ma non trascura gli studi. La pratica bellica è necessaria per rafforzare corpo e spirito. Sudore e fatica creano l’uomo, lo forgiano sano e forte. Le scienze attribuiscono rigore di legge alla conoscenza che di per sé è infinita e mai completamente alla portata dell’uomo. Allo stesso modo l’uomo deve darsi delle leggi là dove l’incerto regna sovrano. La filosofia rende l’uomo saggio. E il rispetto degli dèi e degli antenati lo rendono perfetto. Tutto questo prevede l’educazione di un catanese. E credo, per quel che so di voi, che non sia dissimile dalla vostra.
Teuto: Mi sembrate un giovane sano e valoroso. Purtroppo però, il tempo a nostra disposizione non è sufficiente per darne una prova. Ancora una volta voglio essere sincero: la mia preferenza ricade su di voi quanto su Arcade di Creta.
(alla Regina) Mia cara, è bene rientrare. Andiamo. Etna, intrattieniti pure se preferisci, ma non tardare.
(Si allontana con la Regina)
Teuto: E tu, che sai essere la più saggia tra i miei consiglieri, mia cara Regina, non mi hai ancora reso partecipe della tua opinione.
Regina: Mio Re, e amore mio, due anime simili condividono spesso le stesse opinioni, e per questo che so essere la più saggia tra i tuoi consiglieri. Il più delle volte il nostro pensiero risuona all’unisono e tu sai che ciò che suggerisco è giusto perché tu stesso lo consideri tale. Come te io credo che Arcade e Leonida siano i migliori tra i pretendenti. Qualcosa me li rende simili. La buona educazione, il rispetto verso l’autorità umana e divina. Entrambi saprebbero governare con giustizia e vigore. Sennonché Arcade è un principe ed erediterà un ricco regno, mentre Leonida è solo un aristocratico. Figlio di un’ottima famiglia di una città potente ma democratica. Adesso devi solo capire quale sia la cosa migliore per il regno e per tua figlia. Unire due regni o preservare la forza del nostro senza correre il rischio di decentrare il governo? E ancora più importante, almeno per una madre, arricchire il regno con una buona alleanza o compiere la felicità di una figlia che ha già scelto il suo futuro marito? Ad ogni modo, ognuna delle due alleanze riserva ottime possibilità.
Teuto: È vero, i nostri pensieri risuonano all’unisono. (escono)
SCENA V
Etna e Leonida si prendono per mano
Leonida: Oh Etna! Quanto mi ha sorpreso rivedere in voi quella bella fioraia! Credevo di sognare!
Etna: Perdonatemi, Leonida, per quel brutto inganno! Avevo notato voi ed i vostri amici e ho voluto scoprire quali fossero le vostre reali intenzioni. Tra i pretendenti ve ne sono molti che aspirano al regno. Innessa è ricca di ogni bene e sicura, ben fortificata ed inespugnabile. In molti ambiscono a diventarne Re. Certo, anche una volta sposati nulla assicura loro il regno. Ma tu sai che un genero ambizioso è certamente fonte di pericolo. La storia racconta anche di familiari che hanno complottato per ottenere il potere incuranti di ogni sorta di legame.
Leonida: Non temete, comprendo le vostre motivazioni: dovevate tutelare il popolo, vostro padre e certamente voi stessa. Tutto questo vi rende ancora più cara ai miei occhi.
Etna: Leonida, se anche voi mirate ai beni di mio padre, a Innessa o anche solo ad un piccolo arricchimento che di certo percepirete sposando me, confessatelo subito. Dopo il mio cuore non reggerebbe al dispiacere di scoprire in un uomo tanto amato un marito freddo e insensibile.
Leonida: Etna! Non vi ho forse dimostrato già quanto poco io mi curi delle ricchezze? Non lo avete compreso quando mi dimostrai pronto ad abbandonare i propositi di sposare una ricca, bella ma sconosciuta principessa per una bella, virtuosa e intelligente fioraia? E non comprendeste che solo l’onore e il dovere nei confronti della mia famiglia e della mia città, accompagnato dal rifiuto della fioraia, che così si dimostrava virtuosa, mi portò ad avviarmi verso quello che sentivo come un sacrificio?
Etna: È vero … perdonatemi. Sono solo spaventata.
Leonida: Da cosa?
Etna: Dal cambiamento e … dalla possibilità di perdere voi. Nulla è certo. Io ho espresso il mio giudizio, ma temo che non sia sufficiente. Avete sentito? Avete un degno rivale.
Leonida: Cosa posso fare per conquistare la fiducia e la stima di vostro padre?
Etna: Il poco tempo e la pace che regna su Innessa non lascia molte possibilità. Oh, se solo poteste dimostrare il vostro valore!!
(si abbracciano)
SCENA VI
Matrone, guardie, tesoriere e segretario presso l’Erario della città.
Tesoriere: Il re e la principessa ringraziano caldamente il vostro signore Falaride per questi ricchissimi doni! Mai nessuno fu tanto liberale nei confronti di un alleato.
Schiavo 1 : E non sapete quanto pesano queste bighe!!
Matrona 2: (a parte) Quasi fossero piene di pietre! (riceve una gomitata dalla Matrona vicina la quale riduce la precedente al silenzio)
Tesoriere: Mio buon segretario, aprite la cella dell’edificio in cui sono custodite i tesori di Innessa.
Segretario: (Apre. Poi guarda con sguardo torvo le matrone che fanno per entrare.) Nella cella nessuno può entrare se non gli addetti. Attendete qui fuori.
Guardie e schiavi scaricano i forzieri dalle bighe. Sono molto pesanti.
Matrona 1 : Vi invito a prendere atto del contenuto di almeno una di esse.
Tesoriere: Ma non è nostra abitudine … il Re deve …
Matrona 3: Oh! Ma che sciocchezze! (Lo scosta con poca femminilità, apre l’unico forziere di colore diverso che si dimostra essere piena d’oro.)
Tesoriere: Ohhh!! (Applaude evidentemente soddisfatto, fa per toccare le monete ma si trattiene. Schiarisce la voce e si ricompone.) Su! Non indugiamo oltre! Portiamoli dentro.
Andirivieni di Guardie e schiavi.
Matrona 1: Dunque … la cella interna, dove custodite l’erario pubblico, è chiuso …
Segretario: (Tono duro e aspro) Chiuso, serrato, sprangato, custodito da guardie ventiquattrore al giorno. Senza considerare la protezione del Dio Adrano che vigila e osserva. Sempre.
Matrona 3: (al tesoriere prendendolo a braccetto) Un poco tirato il vostro amico. Ma ce l’ha una donna?
Matrona 1: E scommetto che voi due le vostre chiavi le proteggete a costo della vostra vita.
Segretario e Tesoriere: Esatto!
Matrona 2: Uhhh! Che uomini! (prende a braccetto il sacerdote) Mi piace il vostro coraggio. La difendete con il vostro stesso corpo? Scommetto che la portate appesa al collo. (lo sfiora)
Sacerdote: (imbarazzato allontana la mano)Potete scommetterci. A costo della vita!
Matrona 2: Uhhhh!! Che coraggio!!
Matrona 3 (al tesoriere) E ditemi … Voi ce l’avete una moglie?
Entra Leonida e scorge la scena.
Leonida: Ma cosa succede? Non è l’erario della città? E quelle donne che si stringono al segretario e al Tesoriere? È meglio dare un’occhiata. (Si avvicina) Buonasera Signori. Cosa succede qui?
Tesoriere: Siete Leonida di Catania? Queste donne giungono da Agrigento e portano i doni per la principessa come omaggio da parte del loro Signore.
Matrone: (facendo un inchino e ripetendo come se avessero imparato la formula a memoria, magari accompagnando con dei gesti e con dei grossi sorrisi.) Il nostro ottimo Signore Falaride di Agrigento, Tiranno di nome ma non di fatto. Ha risvegliato la città e l’ha resa ricca, ha concesso felicità al popolo e combattuto contro i nobili egoisti.
Leonida: Falaride … ha la fama di uomo molto astuto. (sospettoso) Avete portato dei doni?
(gira attorno ai forzieri rimasti poi si avvicina alle matrone che abbassano il viso per non farsi riconoscere. Poi si congeda.)
Leonida: Con permesso. (Si allontana. Si ferma prima di uscire dalla quinta. Rivolto al pubblico.) Eppure queste Matrone non mi piacciono affatto. Ho un certo presentimento. È meglio che rimanga a vigilare. Ma non bisogna essere avventati, se è quello che credo io, le mie sole forze non basteranno. Tornerò qui con i miei compagni.
Intanto escono le guardie e il segretario chiude i cancelli del tempio.
Tesoriere: (tenendo due matrone a braccetto, l’altra si accompagna al segretario, che però sembra molto restio) Bene, se abbiamo finito, permettete che vi accompagni nei vostri alloggi.
Matrona 2: Perché invece non ci fate l’onore della vostra presenza mentre ci ristoriamo! Siamo affamate!
SCENA VII. IL FURTO PRESSO L’ ERARIO PUBBLICO.
Rientrano le matrone. Sono davanti al tempio, adesso sgombero. Si guardano attorno sospettose. Nascondono le armi sotto un mantello. Schiavi.
Matrona 1: Non c’è nessuno. Via libera.
Matrona 2: Le guardie sono all’interno.
Matrona 3: Faremo presto a stenderli.
Matrona 1: Le chiavi chi le ha?
Matrona 2: Le ho io! Non c’è voluto molto a sfilargliele dal collo. Il vino è sempre un ottimo alleato. Ah ah ah!!
Matrona 3: Ah ah ah!! Quel segretario era irriconoscibile dopo avere tracannato tutto quel vino!
Matrona 1: Ah ah ah! Che ridere! E quel tesoriere? Ah ah ah!! (ridono)
Matrona 3: Basta ora. Vediamo di pensare alla missione. Avvicinatevi. No, non spogliatevi ancora. Entriamo vestiti da donne per coglierli di sorpresa, dopo di ché li colpiamo. Storditeli, uccideteli, poco importa. Apriamo la cella, svuotiamo i forzieri pieni di pietre, li riempiamo di oro e li carichiamo sulle bighe. Sono ancora qui fuori (le indica). Chiaro?
Matrona 1: Nulla di più semplice.
Matrona 2: Vediamo di non fare troppo rumore.
Entrano
Voci da dentro:
Matrone: Uhhhh!!! Salve!! Ci hanno mandato a farvi un po’ di compagnia!
Si sentono le matrone colpire le guardie, rumore di armi che cozzano.”Ehi!” ed “Oh!” “Sbrigati!” “Per di qui!”
Intanto giungono i catanesi con le armi in mano.
Leonida: Ne ero certo! Clodio! Corri ad avvertire le guardie e il Re! Vai!
Clodio: Volo!
Escono le matrone mezzo svestite, rivelano le loro sembianze maschili, portano alcuni cassieri fuori.
Leonida: Sapevo che nascondevate qualcosa! Non c’è mai di che fidarsi di un tiranno come Falaride.
Matrona 1: Ci hanno scoperti! Schiavi, presto accorrete! (afferra uno schiavo per la veste) Tu e i tuoi amici, caricate quanto più oro possibile sulle bighe mentre noi li teniamo impegnati, appena ne carichi una, portala fuori dalle mura! Sbrigati!
Inizia lo scontro (tre contro tre). Si feriscono a vicenda ma non si uccidono. Leonida alla fine pare mettere in difficoltà il suo avversario, il quale cade a terra. Si accorge che gli schiavi hanno caricato quattro o cinque bighe e si sono dati alla fuga. La matrona acceca Leonida con della terra e urla la ritirata. Fuggono con il bottino.
SCENA VIII
Arrivano Clodio, Teuto armato, Etna, Regina, Guardie.
Etna si precipita ad assistere Leonida. Alcune guardie entrano nel tempio.
Etna: Leonida! Stai bene? Sei ferito!
Teuto: Cosa succede! Dove sono?
Leonida: Signore sono fuggiti! Non siamo riusciti ad impedire la fuga, ma abbiamo limitato il danno. Sono riusciti a caricare solo la metà delle dieci bighe che avevano previsto per il colpo.
Una Guardia: (uscita dal tempio) Re Teuto, le guardie messe a custodia del tempio sono state uccise, solo una è gravemente ferita ma è riuscito a parlare. Ha confermato che il furto è stato compiuto da giovani guerrieri travestiti da donne. Li hanno colti di sorpresa e attaccati. Dentro abbiamo trovato alcuni forzieri vuoti, mentre altri contenevano pietre. Uno solo conteneva oro.
Teuto: Falaride ha organizzato tutto questo …
Giungono il Tesoriere e il segretario che si gettano ai piedi del Re.
Tesoriere: Perdonatemi Signore! Sono stato uno sciocco! Siamo caduti nel loro tranello. Ci hanno derubato delle chiavi!
Segretario: Perdonateci … credevamo fossero solo donne!
Re Teuto: Tesoriere, Segretario, non vi verrà torto un capello per il vostro errore, ma abbandonerete la carica dopo avere stimato con esattezza il danno. Vi verrà assegnato un compito che preveda minori responsabilità. Così sconterete la vostra colpa.
(Si avvicina ai Catanesi che intanto si sono sollevati e messi di fianco l’uno accanto all’altro) Quanto a voi, giovani Catanesi, il vostro coraggio verrà ricompensato, vi verranno attribuite delle terre e, per averla difesa come fosse la vostra patria, vi concederò la cittadinanza ad onore. In questo modo sarete figli di Catania e di Innessa e godrete dei privilegi di entrambe le città.
Leonida, il tuo amico mi ha detto che sei stato il primo a renderti conto dell’imminente pericolo. È vero?
Leonida: Sì, mio signore. Ma ad onor del vero si è trattato di un puro caso e, se i miei concittadini non mi avessero prestato aiuto, avrei potuto fare ben poco.
Teuto: Anche il sapere riconoscere quando bisogna accettare o chiedere aiuto è motivo di merito. Chi si ostina a proseguire in solitudine, pur in presenza di validi collaboratori, non potrà andare lontano.
Leonida, oggi mi hai dimostrato il tuo valore nelle armi e nel giudizio. Per ringraziarti voglio concederti la mano di mia figlia. Vi concedo la mia benedizione per il vostro matrimonio.
Etna e Leonida si abbracciano
Etna: Grazie padre! (abbraccia Teuto)
Leonida: Grazie. (si stringono la destra)
SCENA IX: IL MATRIMONIO
Giorno del matrimonio. Etna e Leonida seduti tra Teuto e la Regina. A fianco, in piedi, il sacerdos.
Presente tutto il popolo e i pretendenti.
Teuto Si alza, invita, prendendogli la mano, la principessa ad alzarsi.
Teuto: La principessa Etna, come il suo nome dice, è un dono degli dèi. Io li invocai perché ella riempisse il mio cuore, poiché le numerose ricchezze di questa città da sole non bastavano a farlo. Gli ori non sono il fine dell’uomo, che questi vanno e vengono, così come ce n’è stata data una prova. Questi sono ricercati dai tiranni ma noi, miei cittadini, miei sudditi, noi no. Figli miei, noi ambiamo a ben altro. Noi con la prossima ricca stagione di raccolta, con gli agrumeti del Mendolito, ora irrorati attraverso le recenti opere di bonifica, con l’abbondanza delle nostre greggi e delle mandrie, con le fabbriche dei laterizi, con le opere dei nostri artigiani, famosi per la loro arte, ben presto li riempieremo di ori ancor più abbondanti. Eppure non curiamoci di ciò, non di ciò che si ossida, che può passare di mano, rompersi, o deperire. Cerchiamo e curiamoci piuttosto del vero bene, ovvero di ciò che è costante e inamovibile. Esso si chiama amore: l’amore di una figlia, l’amore dei propri cittadini, l’amore per gli antenati, per Adrano, per i nostri padri, che resero grande questa città non per le ricchezze che ci tramandarono ma per gli immortali valori di cui essi oggi sono esempio. Ecco che io annuncio l’amore di mia figlia per il giovane aristocratico catanese Leonida. Essi governeranno dopo di me la città di Innessa, che dal giorno del suo matrimonio sarà ad ella intitolata col nome di Etna. Dopo che io mi sarò ricongiunto ai miei padri, riserverete a lei lo stesso affetto che avete dimostrato nei miei confronti durante tutti questi anni del mio principato. Come le nostre istituzioni vogliono, attuerà le decisioni che saranno prese dal consiglio cittadino, perdurerà la tradizione dei siculi che si reggono in istituto di democrazia giurando ostilità ai tiranni che, da quando accogliemmo pacificamente i Greci, si sono moltiplicati nell’isola. I sacerdoti Adraniti vigileranno affinché i siculi mai perdano l’ardore che alimenta l’amore di Adrano, l’Avo, per la nostra stirpe e per la nostra città.
Il popolo: (grida) Per Adrano, l’Avo, lunga vita ai siculi, lunga vita a Teuto, lunga vita alla principessa Etna.
Teuto: Ed ora, poiché questi due giovani cuori innamorati non possono attendere oltre, si sospenda ogni attività e che ognuno participi della nostra gioia. Che si proceda con il matrimonio e che Odrh Ano vigli su di noi concedendoci la sua benedizione.
Leonida ed Etna si prendono per mano. Il sacerdote di fronte a loro avvolge le loro destre in un tessuto rosso.
Balia di lato piange, commossa.
Il popolo acclama.
VCF: Così, seppure a seguito di un grave furto, si conclude, tra la gioia generale, la nostra storia.
Falaride, grande Tiranno, riuscì parzialmente vittorioso da questa impresa. Ottenne molte ricchezze che gli furono utili per completare il tempio della Concordia e per istituire giochi e mantenere i propri soldati e i mercenari. Gli parve di avere risolto parte dei propri problemi, almeno fino a quando quell’oro finì e non ebbe bisogno di procurarsene altro per sedare il popolo e i nobili, suo costante cruccio. Probabilmente la sua vita fu sempre minacciata dal timore di perdere il consenso pubblico.
Coloro che subirono un grave danno invece non ebbero né il tempo né il motivo di abbattersi. Le parole di Teuto a questo proposito sono chiare. Le ricchezze vanno e vengono, ma l’affetto, la giustizia, le virtù possono essere eterne e sono i valori che portano serenità e gioia nella vita degli uomini. Poiché Teuto aveva compreso questa verità, il popolo non lo chiamò mai Tiranno, né egli ebbe bisogno di esercitare un potere tirannico sul popolo. Teuto si curò della concordia e della serenità, ma non ebbe mai bisogno di comperarli a prezzo d’oro, per questo non diede peso alla perdita delle ricchezze più di quanto ce ne fosse bisogno.
La città si riprese presto. Innessa, rinata a nuova vita da questa unione, sarebbe passata alla storia con il nome di Etna e avrebbe continuato a prosperare e a godere del consenso del nume patrono della città, Odhr Ano, l’Antenato.
FINE
Francesco e Ottavia Branchina